Quasi 41 milioni di europei, uno ogni dieci abitanti degli stati membri dell’UE, hanno utilizzato ChatGPT Search almeno una volta al mese, negli ultimi sei mesi. Un semestre fa erano “appena” 11 milioni, secondo i dati diffusi da OpenAI, e – per quanto il risultato sia ancora ben lontano dal mettere in discussione il primato di Google – sono diversi i segnali che fanno intuire come il settore dei motori di ricerca sia entrato in una fase di profonda trasformazione. A essere messa in discussione non è infatti solo un’azienda, Google, ma un intero modo di concepire le ricerche online dal punto di vista dell’efficacia, dei consumi energetici, del modello di business.
Dalla UE agli USA, il primato di Google in discussione
Negli stessi mesi in cui ChatGPT Search ha fatto il suo debutto in Europa e nel resto del mondo, negli Stati Uniti il Dipartimento di Giustizia ha avviato un processo contro Alphabet (la holding di controllo di Google) con l’obiettivo di costringerla a vendere il browser Chrome per limitare il suo monopolio nel digitale. Un monopolio raggiunto, secondo l’accusa, anche grazie alla stipula di accordi multimiliardari con aziende come Apple o Samsung per preinstallare i propri servizi – inclusi quelli di intelligenza artificiale – sui nuovi smartphone in commercio.
Il processo in corso, indipendentemente da quella che sarà la sentenza, offre uno spaccato interessante sulla crescente difficoltà, da parte di Alphabet, nel mantenere il primato proprio in quel settore dominato per decenni fino all’avvento di OpenAI. Tra i segnali di difficoltà rientra, infatti, la decisione di integrare riassunti generati dall’AI – le “AI Overview” – al primo posto di alcune pagine dei risultati di ricerca (SERP) senza dare la possibilità di disattivarli.
Difficile dire, oggi, quanto questa forzatura abbia contribuito a trattenere su Google utenti che si sarebbero rivolti al motore di ricerca di OpenAI. Se è vero che i dati più recenti riportano l’incredibile risultato di 1,5 miliardi di utilizzatori ogni mese per AI Overview, a livello globale, è altrettanto vero che l’impossibilità di disattivare questa funzionalità rende altrettanto impossibile operare dei distinguo tra chi ha deciso volontariamente di servirsi dei riassunti generati dall’AI di Google e chi vi ha rivolto solo uno sguardo, distratto.
A essere messo in discussione non è solo il primato di Google
ma un intero modo di concepire le ricerche online dal punto di vista dell’efficacia, dei consumi energetici e del modello di business
Quale SEO per l’AI generativa?
Le conseguenze del cambiamento di tecnologie e modalità di ricerca online non riguardano tuttavia solo Google, come anticipato all’inizio di questo articolo, ma l’intera filiera di professionisti che hanno costruito gran parte dei propri guadagni nel mercato delle ricerche pre-intelligenza artificiale generativa.
Se nel corso degli ultimi anni è andata affermandosi un’intera industria di agenzie ed esperti SEO (acronimo di Search Engine Optimization) per favorire la visibilità di aziende, persone, siti web nelle SERP, parte di questa filiera rischia di andare incontro a una rapida obsolescenza di fronte a motori di ricerca pensati per creare nuovi contenuti a partire dalle risorse disponibili online, anziché limitarsi a fornire un elenco di link da consultare manualmente, talvolta con grande dispendio di tempo da parte dell’utente/lettore.
Fino a che punto la SEO post-intelligenza artificiale generativa sarà in continuità con quella del passato? Anche a questa domanda è impossibile rispondere, con le evidenze attuali, ma non vi è dubbio che la collocazione, la visibilità, la rilevanza accordata alle fonti nelle risposte fornite da ChatGPT Search, Gemini e servizi analoghi farà la differenza in termini di visibilità e di traffico per qualsiasi sito web, soprattutto per quanto riguarda quelli di informazione. A influire maggiormente sull’esito della competizione, paradossalmente, potrebbero essere più gli accordi formali tra Big Tech e le aziende (l’ultimo, in ordine di tempo, è quello stipulato tra OpenAI e il Washington Post) che le vecchie e nuove tecniche di ottimizzazione.
Nuovi modelli di business ed ecologie del digitale
Molto meno incerta, in questo scenario in rapida trasformazione, è la crescita esponenziale dei consumi di energia.
Secondo quanto rivelato dallo stesso Sam Altman, CEO di OpenAI, l’abitudine di concludere le conversazioni con i chatbot AI scrivendo “grazie” o “prego” starebbe costando all’azienda decine di milioni di dollari in risorse computazionali e, di conseguenza, in consumi energetici. Se siamo ancora molto distanti dall’avere una visione completa dell’impronta ambientale del digitale, nondimeno l’affermarsi di motori di ricerca sempre più energivori dovrebbe andare di pari passo con la crescita di una sensibilità ecologica anche in questo settore, soprattutto qualora i motori basati su IA dovessero imporsi come il nuovo standard del web.
Non da ultimo, infine, si pone il problema della sostenibilità finanziaria di questo nuovo modello di accesso alla conoscenza. Sostenibilità di aziende come OpenAI e Alphabet che, con ogni probabilità, dovranno ideare nuove modalità di vendita di spazi pubblicitari che non siano troppo invasivi rispetto alla naturalezza delle risposte generate dalle AI. La sostenibilità, inoltre, sarà anche quella degli editor e creatori di contenuti, che potrebbero vedere il traffico ai propri siti ridursi notevolmente e non essere più in grado di guadagnare dal proprio lavoro. Con ogni probabilità il modello di business della ricerca è destinato, a sua volta, a cambiare, verso una modalità “freemium” fondata su inserzioni a pagamento, abbonamenti e crediti di ricerca, allo stesso modo in cui molti editori e produttori di contenuti proveranno a inseguire un difficile equilibrio tra ricavi da pubblicità e quelli derivanti dagli abbonamenti.
Nessuno, oggi, può affermare con sicurezza come sarà la SEO post-AI generativa. Quello che è certo è che la visibilità, rilevanza
e collocazione delle fonti nelle risposte dei nuovi motori di ricerca
potrà determinare il destino di molti siti web
Il ritorno del “piacere” di cercare qualcosa online
Rimane, in tutto questo, una sensazione che oserei addirittura definire di “piacere” nell’utilizzo di strumenti come ChatGPT Search e che, personalmente, non provavo da alcuni anni.
Per “piacere” intendo quello di porre una domanda e ricevere indietro una risposta elaborata, approfondita in base alle mie necessità,, senza essere costretto a consultare decine di siti web ridondanti di parole chiave e concetti ripetuti allo sfinimento per il solo scopo di essere premiati dall’algoritmo di Google. Dopo anni in cui l’abuso di tecniche SEO per posizionare ai primi posti delle SERP articoli e pagine web ha reso la ricerca online un’esperienza sempre più frustrante, l’AI generativa sembra essere sulla buona strada per diventare un antidoto alle carenze e ai cortocircuiti del motore di ricerca tradizionale.
Resta, elevatissimo, il rischio delle allucinazioni. Allucinazioni che andrebbero, tuttavia, indagate caso per caso, per distinguere tra quelle che sono le “invenzioni” dell’AI e quelle che sono informazioni false, diffuse da siti apparentemente autorevoli, per “inquinare” intenzionalmente le risposte: un allarme rilanciato questa settimana sul Corriere Innovazione dalla professoressa Maria Rosaria Taddeo, docente di Digital Ethics and Defence Technology, che ha citato i i dati di NetGuardian secondo cui sarebbero oltre 3,6 milioni gli articoli di propaganda russa incorporati nei contenuti utilizzati dall’AI generativa.
Il problema delle allucinazioni dei nuovi motori di ricerca e, in generale, il problema delle allucinazioni nelle risposte fornite dall’AI sembra non avere una soluzione tecnica definitiva. In questo senso, cresce l’urgenza di sviluppare un’educazione digitale di massa, rivolta ad ampi strati della popolazione ed erogata in maniera sistematica, e la necessità di promuovere l’abitudine a una dieta mediatica “bilanciata” composta social, motori di ricerca, forum e media tradizionali (libri, giornali, radio) per dare a tutte le persone la possibilità di valutare criticamente le risposte fornite dall’AI con la sua solita apparente, assoluta certezza.
Fino alla prossima rivoluzione.

(dati globali per il periodo febbraio-aprile 2025)