Le conseguenze dell’utilizzo delle tecnologie digitali sul rendimento scolastico, la socialità, il benessere dei minori sono tra gli argomenti più dibattuti degli ultimi anni e, fino ad oggi, sono state ben poche le ricerche in grado di fornire punti fermi da cui partire per lo sviluppo di soluzioni concrete e iniziative legislative in grado di cambiare, in meglio, le condizioni di vita di quanti si trovano in condizioni di maggiore difficoltà. Le cause? Molteplici, a cominciare dalla mancanza di dati e di trasparenza da parte dei fornitori dei principali servizi online di app di messaggistica, motori di ricerca e social media.
Qualcosa, tuttavia, comincia a cambiare e lo dimostrano i significativi risultati raggiunti dal progetto di ricerca EYES UP (EarlY Exposure to Screens and Unequal Performance), finanziato da Fondazione Cariplo e coordinato dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università Bicocca, sotto la guida del professor Marco Gui, con il coinvolgimento di Università di Brescia, Associazione Sloworking e Centro Studi Socialis*. La ricerca, della durata di un anno, ha dimostrato come l’utilizzo precoce e non supervisionato dei social media possa portare a un significativo peggioramento del rendimento scolastico. Il che è anche un problema di disugaglianza sociale, dato che la precocità di utilizzo di dispositivi e ambienti digitali è maggiore per i giovani che provengono da contesti familiari e culturali svantaggiati.

A essere chiamati in causa sono, soprattutto, gli adulti, nella duplice veste di genitori e insegnanti. Le famiglie degli studenti intervistati in occasione della ricerca sono per lo più composte da genitori che si arrendono troppo presto alle richieste dei figli di avere uno smartphone personale, che concedono loro la possibilità di accedere ai social ben prima dei 14 anni di età (termine minimo stabilito dalla legge, GDPR), che non supervisionano la loro attività online e non utilizzano gli strumenti di “parental control”. Eppure, una sentenza di questi giorni del Tribunale di Brescia ha multato per 15.000 Euro proprio i genitori di una ragazza che si è resa responsabile di un grave episodio di cyberbullismo: è la legge, ancora prima che il buonsenso, a stabilire che i genitori non possono ignorare le attività dei figli sulla Rete.
Non ne escono meglio gli insegnanti: i docenti degli alunni intervistati dai ricercatori si collocano all’ultimo posto tra le figure di riferimento a cui chiedere aiuto in caso di pericoli o problemi riscontrati durante la propria attività online, e la maggior parte dei giovani considera le attività di educazione digitale organizzate dalla scuola come una mera trasmissione nozionistica dei pericoli e dei rischi del digitale senza, tuttavia, fornire soluzioni per un uso consapevole, creativo, proattivo ed efficace delle nuove tecnologie. I giovani, in conclusione, sono lasciati soli a navigare su piattaforme e ambienti digitali non progettati per loro, e vi è da stupirsi che a calare sia – per il momento – “solo” il rendimento scolastico.
Professor Gui, quali sono i principali risultati emersi da EYES UP e per quale motivo siete riusciti solo ora a realizzare una ricerca di questo tipo?
Per molti anni le ricerche riguardanti le conseguenze dell’utilizzo precoce degli smartphone e dei social tra i minori di età sono state penalizzate dalla mancanza di dati e, soprattutto, dall’impossibilità di confrontarli nel corso del tempo. Nel caso di EYES UP abbiamo potuto, per la prima volta, analizzare in maniera sistematica i risultati dei test Invalsi dalla II primaria alla II classe del biennio della scuola superiore di secondo grado di oltre 6.000 studenti e studentesse della Lombardia, potendo confrontare il rendimento scolastico di coloro che si erano iscritti ai social in prima media (3 anni prima dell’accesso stabilito dalla legge, cioè i 14 anni) con quelli che hanno aspettato il limite legale per farlo. Tale confronto è stato effettuato con tecniche statistiche (abbinamento statistico e analisi difference- in-difference) che consentono, con alcuni assunti, un’interpretazione causale del risultato. Cosa emerge? Un peggioramento importante nei risultati delle prove di italiano e matematica per quanto riguarda gli studenti del primo gruppo.
Quindi possiamo dire, con più solidità, che l’utilizzo precoce dei social media comporta un rischio per il rendimento scolastico?
Il problema non è la precocità nell’uso delle tecnologie digitali in generale, quanto la mancanza di controlli e supervisione da parte degli adulti sulle attività online non adatte alla specifica fase della preadolescenza, tra cui i social. Più della metà delle famiglie degli studenti intervistati non utilizza gli strumenti di “parental control”, poco meno della metà supervisiona l’attività dei propri figli in Rete, e queste percentuali peggiorano quando nessuno dei genitori ha un titolo di laurea o quando entrambi provengono da Paesi stranieri. Questo avviene per condizioni strutturali di ingiustizia: mancanza di tempo, risorse culturali e informative, reti di supporto. Gli studenti che utilizzano i social senza l’aiuto e la supervisione degli adulti sono, in molti casi, anche quelli che possono contare su condizioni di partenza meno avvantaggiate: se l’accesso precoce e senza limiti produce per tutti conseguenze negative sul rendimento scolastico, quelli che lo fanno più spesso sono proprio coloro che partono da una condizione di maggiore difficoltà.

Qual è stato, se c’è stato, il contributo fornito dalle aziende hi-tech, che possiedono i dati di utilizzo degli utenti?
La nostra ricerca si è basata interamente sui dati Invalsi e su quelli condivisi dagli studenti intervistati tramite un questionario. Non abbiamo alcun supporto dai social media, anche se il nuovo regolamento europeo – il Digital Services Act – dovrebbe rendere possibile accedere ai dati delle piattaforme per ragioni di studio e ricerca. La complessità dell’analisi, tuttavia, è così alta che la maggior parte dei ricercatori non ha ancora avanzato questo tipo di richieste: il rischio è quello di ricevere una mole di dati enorme, non strutturata, con la conseguenza di non poterli analizzare con le risorse disponibili da gruppi di ricerca non enormi come il nostro.
Considerando tutti gli elementi, la vostra ricerca sembra confermare la correttezza della scelta di limitare l’accesso ai social sotto i 14 anni di età.
Esatto, ma non sappiamo ancora con certezza perché al di sotto di questo limite le conseguenze sul rendimento scolastico siano così negative. Le possibili cause potrebbero essere il continuo disturbo prodotto dalle notifiche, dal bisogno di controllare ripetutamente i commenti ricevuti e i nuovi contenuti pubblicati dai propri amici, così come gli effetti negativi sulla qualità e quantità del sonno dati dall’utilizzo dei social fino a tarda sera, o le conseguenze sull’umore in caso di esposizione a contenuti negativi o particolarmente disturbanti: cause che possono derivare tanto dalla mancanza di un’educazione digitale adeguata, quanto dal fatto che questi strumenti non sono progettati per i bisogni e le capacità intellettive ed emotive di menti ancora in fase di formazione.
Come possono le famiglie limitare l’accesso ai social o posticipare l’età del “primo smartphone”?
La navigazione online autonoma, libera, senza controlli e senza limitazioni espone i più giovani a una serie di rischi e di conseguenze negative sul proprio percorso umano e scolastico che gli adulti non possono più permettersi di sottovalutare. C’è un importante documento, Le Raccomandazioni di Milano, espressione delle più importanti istituzioni milanesi che già lo dice chiaramente. La Rete dei Patti Digitali è un’altra iniziativa, dal basso, che consente alle famiglie di coordinarsi tra loro e di decidere in autonomia e in maniera condivisa l’età di accesso alle tecnologie, senza essere condizionati dalla pressione sociale a cui sono inevitabilmente esposti i ragazzi. Si tratta di una rete di associazioni e gruppi informali di genitori, diffusa su tutto il territorio nazionale, che si coordinano tra di loro sia per definire l’età minima di accesso, sia per individuare delle regole di utilizzo valide per una comunità. In questo senso, i Patti Digitali sono una prima risposta a quell’esigenza di riguadagnare il controllo educativo sull’iperconnessione e colmare il divario sociale che la nostra ricerca ha contribuito a portare all’attenzione di tutti.

Che cos’è il divario da iperconnessione e perché è importante fare di tutto per ridurlo?
Il divario è, se vogliamo, una sorta di rovesciamento del “digital divide”. Oggi le condizioni di accesso agli smartphone o alla connessione non sono più così sperequate. Ad esserlo invece è divenuta la presenza di guida, indirizzo, supervisione da parte degli adulti in questo utilizzo. Molti giovani utilizzano in maniera incontrollata, spasmodica e non sorvegliata i social media, e non ricevono alcuna forma di supporto da parte degli adulti. Altri , invece, possono contare sulla supervisione dei propri genitori e sul loro aiuto in caso di difficoltà. La nostra ricerca dimostra come il divario da iperconnessione possa avere delle conseguenze negative sul rendimento scolastico dei più svantaggiati e, di conseguenza, sulle possibilità di accedere a opportunità di studio migliori in futuro: il problema del rapporto tra minori e digitale è anche un problema di diseguaglianza e di povertà educativa. Anche per questa ragione questo ambito non può essere lasciato all’arbitrio del mercato, a mode non discusse collettivamente e alle scelte interessate delle aziende tecnologiche.
*Di seguito tutti gli autori che hanno contribuito al progetto di ricerca ricerca EYES UP:
- Marco Gui, Professore associato di Sociologia dei Media, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università degli Studi di Milano-Bicocca
- Chiara Respi, Dottore di ricerca e tecnologa di ricerca presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca
- Giovanni Abbiati, Professore associato in Sociologia Economica, Dipartimento di Economiae Management, Università degli Studi di Brescia
- Vanessa Trapani, Dottore di ricerca in Antropologia Sociale, Presidente e responsabile strategico dell’Associazione Sloworking
- Elisa Angiola, Ricercatrice di mercato e consulente aziendale, membro del Direttivo dell’Associazione Sloworking
- Sofia Ercolanni, Dottoranda in Analysis of Social and Economic Processes, Università degli Studi di Milano-Bicocca
- Tiziana Pirola, Dottoranda in Analysis of Social and Economic Processes, Università degli Studi di Milano-Bicocca
- Cristiana Paladini, Dottore di ricerca in Scienze della comunicazione ed organizzazioni complesse, Direttrice del centro studi Socialis, Università degli Studi di Brescia
- Giovanni Vezzoli, Psicologo e dottorando in Business and Law presso Università degli Studi di Brescia
- Francesca MIlzani, Dottoranda in Modelli e Metodi per l’Economia e il Management, Università degli Studi di Brescia, analista di dati presso il Centro Studi Socialis