Persone, non numeri: “Noi Denunceremo” e quel dolore che non passa

Un gruppo Facebook da oltre settantamila persone è rimasto uno dei pochi a raccogliere quotidianamente le testimonianze dei parenti delle vittime di Covid, animato dai membri del Comitato “Noi Denunceremo”.

Non so se capita anche a voi ma dicembre è il mese più duro. Pensavo che quest’anno fosse diverso, ma così non è. Quando dicono che il nostro lutto è diverso da quello canonico è proprio vero. Ci metteremo una vita a elaborarlo, pensando che magari a Natale rientreranno dalla porta da cui sono usciti dicendoci ‘ci siamo nascosti per un po’ e ora siamo tornati’. Buona festa dell’immacolata a tutti noi”. Italia, dicembre 2021, secondo anno di pandemia, “quarta ondata” in corso: l’unico luogo che sembra essere in grado di raccogliere e ospitare tutti i parenti delle vittime di Covid-19 e dare voce senza limiti di tempo alle loro testimonianze, ai loro ricordi e al loro dolore, non è un luogo “reale” o istituzionale bensì un gruppo Facebook di quasi 70 mila membri creato, gestito e moderato dal Comitato “Noi denunceremo. Verità e Giustizia per le vittime di Covid-19”, nato grazie all’iniziativa di Luca Fusco e suo figlio Stefano. “Questo è il nostro luogo sacro – si legge nella testimonianza di Marianna, che riporto integralmente – ma laico, dove non calpestare i sentimenti. Quando entrate, per favore, fatelo in silenzio e in punta di piedi”.

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Un post recente sul Gruppo Facebook “Noi Denunceremo”
(screenshot dell’autore, 18/12/2021)

Ovunque, sui media, i numeri hanno ormai preso il posto delle storie delle vittime, tranne che nel gruppo Facebook “Noi denunceremo”

Se oggi sono qui a riportare con la massima delicatezza possibile alcune delle testimonianze di dolore che ho letto, nel corso di quasi due anni di attività del Gruppo e di sostegno al Comitato, è perché mi sono reso conto che queste stesse testimonianze non ottengono ormai più alcuno spazio né sui media che seguo abitualmente, né sugli stessi social per quanto riguarda le pagine e gli opinionisti più seguiti, sostituite in maniera implacabile dalla fredda constatazione quotidiana dei decessi della pandemia che non finisce. “Noi denunceremo”, e pochi altri ancora, è l’unico luogo in Rete in cui i numeri dei morti diventano ancora oggi storie di vita vera, volti di persone che non ce l’hanno fatta contro la malattia, ricordi e confessioni di chi è rimasto con loro fino all’ultimo e ancora non si dà pace: “il 4 novembre è un anno – scrive Romina – Mi manchi. Non sono riuscita a starti vicina, nemmeno nei tuoi ultimi momenti, eri solo e questo mi distrugge. Di te ho ricevuto solo un sacco nero di tutto quello che avevi in quei giorni. Caro papà, perdonami”, aggiungendo la foto del padre ancora vivo. Quasi tutte le testimonianze sono accompagnate da foto, come a voler dimostrare che queste persone sono esistite davvero, erano vive e stavano bene, prima di trasformarsi nei numeri indistinti della narrazione mediatica sull’andamento sussultorio della pandemia.

L’algoritmo del social non permette una fruizione lineare dei contenuti, ma amplifica il dolore generato dal ricordo e dall’impotenza

Immergersi nelle profondità di un gruppo Facebook da settantamila persone, con centinaia di post pubblicati e migliaia di commenti condivisi, non è un’esperienza comune né semplice a farsi: basta una sola foto per sentire una fitta di dolore allo stomaco, certe testimonianze sono tanto crude quanto dettagliate nel ricostruire gli ultimi giorni della vita di una qualsiasi delle vittime di Covid, spesso in una condizione di inimmaginabile solitudine, e non aiuta il fatto che non vi sia alcun ordine cronologico da seguire nella lettura dei post. Certi contenuti, semplicemente, tornano “a galla” anche a distanza di un anno perché qualcuno ha deciso di aggiungervi un commento o di rispondere a un “tag” ricevuto tempo addietro: e così il dolore di chi ha scritto e di chi ha commentato con la sua personale storia di sofferenza si rinnova giorno dopo giorno anche nei momenti più impensati, per mezzo di notifiche Facebook che si possono al più silenziare, ma mai ignorare del tutto né tantomeno controllare a priori.

La prova dell’esistenza di una frattura in atto nella nostra società tra chi è stato personalmente colpito dal lutto e chi vorrebbe solo dimenticare

Questo dolore sono sicura ci accompagnerà in ogni istante della nostra vita”, “troppo dolore, non ce la faccio più a vivere con questa angoscia che ho da quando mia mamma stava in clinica”, “non si può sopportare una cosa del genere, non c’è rassegnazione” sono parole e temi ricorrenti tra i parenti delle vittime, cui le logiche di amplificazione algoritmica di Facebook si ritorcono contro costringendoli a rivivere e rivedere sempre la stessa storia, sempre gli stessi attimi di disperazione, quali testimoni di una tragedia che la maggior parte della popolazione sembra volersi dimenticare e lasciarsi alle spalle, considerandola alla stregua di una catastrofe naturale. “Noi denunceremo” è la voce di una parte della società che non la pensa così, ma che è confinata nel dibattito e nella percezione pubblica a un luogo virtuale, seppur con memoria di archiviazione pressoché illimitata, e alle rare notizie riguardanti le indagini in corso sui responsabili della diffusione incontrollata della pandemia, dei mancati controlli, interventi e investimenti che continuano a generare ogni giorno nuove vittime e intuili sofferenze.

Un dolore che non passa, solo parzialmente attutito dal supporto reciproco tra sconosciuti accumunati da una stessa esperienza di perdita

“Noi denunceremo” è quindi tante cose insieme: un Comitato, impegnato in una lunga e difficile causa legale contro Regione Lombardia, Ministero della Salute e Presidenza del Consiglio per ottenere un risarcimento per i parenti delle vittime di Covid-19 e soprattutto per ricostruire la verità dietro alla diffusione della pandemia in Italia, ma anche un gruppo di persone che tengono in vita e moderano uno spazio online dove chi deve convivere con il dolore per la perdita di un proprio caro può trovare conforto nella testimonianza di altre persone. “Anch’io ho perso mio marito di 57 anni il 22 marzo, in cinque giorni se n’è andato. Settimana prossima inizio le sedute dallo psicologo perché sono a pezzi, quel poco che mangio lo vomito sempre”, “il dolore mi sta distruggendo. Penso che ricorrerò anche io a un supporto psicologico. Paradossalmente ero più forte qualche mese fa. Ora sono crollata“, “io sono un ragazzo di 15 anni completamente traumatizzato dalla storia che ho avuto in famiglia, ma ancor di più dalla morte di mia nonna” scrivono alcuni membri del Gruppo, denunciando una sofferenza psicologica che non passa neppure dopo mesi dall’avvenuta tragedia, e che solo in parte gli altri membri possono attutire con messaggi di speranza, di consolazione, in assenza di qualsiasi altra forma di riconoscimento pubblico o sociale in atto.

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Foto dello striscione da tre metri realizzato da Paolo Casiraghi
e pubblicata sulla pagina Facebook del Comitato “Noi Denunceremo”.

Un Gruppo creato per raccogliere il maggior numero possibile di testimonianze, grazie al lavoro gratuito di pochi moderatori

Tutto questo, come ho scritto, è tenuto in piedi dal lavoro volontario di poche persone. Pochissime, se si pensa alla quantità di membri del Gruppo e dei contenuti pubblicati. Sono una decina, infatti, gli amministratori e moderatori che valutano ogni post prima dell’effettiva pubblicazione seguendo una serie di linee guida che vietano ogni forma di attività pubblicitaria, accuse al personale sanitario e post “politici”, e vietano altresì consigli di “farmaci, cure, integratori, rimedi casalinghi o omeopatici”. Un lavoro non semplice, come chiunque abbia svolto il lavoro di moderatore volontario potrebbe confermare, e che oggi supplisce l’inerzia dei media e delle istituzioni nel dare voce e trovare risposte al dolore che non passa: “il gruppo nasce per dare spazio alle vostre storie, a chi ha perso qualcuno dei suoi cari, a chi ha contratto il virus, a chi sta vivendo sulla propria pelle questa emergenza perché direttamente coinvolto nei servizi sanitari e di ordine pubblico. La finalità del gruppo è quella di raccogliere più testimonianze dirette possibiliscrivevano i fondatori circa un anno fa, e tale finalità è rimasta nel momento in cui il nostro Paese non ha mai conosciuto un solo giorno senza morti accertati da Covid.

I limiti del social che fanno sì che “Noi denunceremo” sia vincolato nella sua esistenza e visibilità rispetto a coloro che non ne fanno parte

Rari, purtroppo, i commenti di chi non è stato colpito in prima persona dal dolore. Rare le testimonianze pubbliche di chi solo grazie a questo Gruppo è riuscito ad avvicinarsi alla quotidianità infranta di persone lontane, ha preso consapevolezza della gravità dei fatti e ha deciso di portare il suo sostegno iscrivendosi al Comitato. “Noi denunceremo” è uno splendido caso isolato di elaborazione collettiva del lutto e di auto-organizzazione delle vittime vincolato dagli stessi limiti del social su cui è nato e cresciuto: è spaventoso pensare come ben poco di tutte queste testimonianze possa filtrare all’esterno, di quanto facilmente il Gruppo e tutto ciò che contiene potrebbe essere cancellato dall’oggi al domani dalla decisione arbitraria della piattaforma che lo ospita, e di quanto sia facile dimenticarsi persino della sua esistenza se l’algoritmo che regola il NewsFeed del social non registra più il nostro “interesse” nei suoi confronti. È possibile che settantamila persone possano ritrovarsi, discutere, confrontarsi, supportarsi l’un l’altro quotidianamente, nell’indifferenza dei più e nel rumore indistinto di fondo che anima la maggior parte delle discussioni di Facebook? Purtroppo sì, anche se un sito è in costruzione e il processo in atto getterà nuova luce su queste storie che non meritano di essere dimenticate.

Non c’è giorno che io esca di casa senza salutarti, chiedo sempre il tuo aiuto e i tuoi consigli nelle situazioni più difficili, ti cerco per condividere ogni momento della mia vita. Mamma io non riesco a credere che tu sia morta, non ce la faccio proprio. Nella mia quotidianità, penso che ancora tu sia ricoverata in quel maledetto letto di ospedale e che presto potrò riabbracciarti e stringerti a me”.

jacopo franchi

Autore

Jacopo Franchi

Mi chiamo Jacopo Franchi, sono nato nel 1987, vivo a Milano, lavoro come social media manager, sono autore del sito che state visitando in questo momento e di tre libri sui social media, la moderazione di contenuti online e gli oggetti digitali.

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