L’educazione finanziaria nell’era digitale
Mentre WhatsApp introduce la possibilità di scambiare denaro elettronico tra utenti, e tra questi ultimi e le aziende, cresce il bisogno di un’educazione finanziaria che sia all’altezza delle nuove sfide poste dalla tecnologia digitale, soprattutto per quanto riguarda i minori.
Giulia ha dodici anni e crede ancora che la moneta da un euro abbia un valore inferiore rispetto a quello di una moneta da cinquanta centesimi, per via delle maggiori dimensioni di quest’ultima. Saverio ha tredici anni e non ha mai visto nelle mani del papà una banconota di valore superiore ai venti euro.
In compenso, entrambi hanno già scoperto che i soldi possono assumere forme tra loro molto diverse: la carta prepagata che hanno ricevuto in dono l’ultimo Natale, il braccialetto contactless con cui hanno pagato le bevande al concerto della loro cantante preferita, i cellulari con cui mamma e papà compensano le spese a fine mese senza neppure servirsi dei vecchi “bonifici”.
Il denaro che Giulia e Saverio hanno imparato fin qui a riconoscere è un denaro diverso – per forme, modalità di utilizzo e di tracciamento – rispetto a quello che hanno conosciuto tutte le generazioni che sono venute prima di loro: forse, è proprio questo il motivo per cui nessun genitore, insegnante o educatore è stato in grado finora di fornire loro un’istruzione adeguata alla complessità dell’argomento.
Da anni allo Sziget Festival, il principale festival di musica in Europa,
l’unico metodo di pagamento accettato
è il braccialetto elettronico contactless ricaricabile da App
WhatsApp Pay: sicuri che sia una buona idea?
Non manca molto, tuttavia, prima che Giulia e Saverio possano passare dalla condizione di osservatori alla condizione di “utenti” dei nuovi servizi di pagamento digitale. Mentre scrivo, in Brasile è stato lanciato (e già temporaneamente sospeso) il nuovo servizio di pagamenti “peer-to-peer” all’interno della app di messaggistica WhatsApp: è solo questione di tempo, probabilmente, prima che anche in Italia Giulia possa inviare con la sua app di WhatsApp la paghetta a Saverio in cambio di una merenda, di un videogioco, o di un biglietto acquistato in prevendita per il suo concerto preferito. Un’operazione semplice, quasi banale, proprio come inviare un messaggio… Almeno, secondo il linguaggio dei banner promozionali di WhatsApp Pay (e secondo i media che si sono limitati a riportare fedelmente le parole della pubblicità).
Come funziona il nuovissimo WhatsApp Pay
Il servizio WhatsApp Pay, è importante ricordarlo, arriva sul mercato a distanza di pochi anni dall’insuccesso dei pagamenti “p2p” di Facebook Messenger (servizio che in Europa ha chiuso anzitempo, dopo le prime sperimentazioni evidentemente deludenti in Francia e Regno Unito) e si pone in diretta concorrenza con una serie di altre piattaforme specializzate in quest’ambito. Dall’italianissima Satispay a Venmo, sono decine e decine le app che offrono un servizio e un’esperienza utente non poi così diversa da quella di WhatsApp: il loro pubblico? Adulti, giovani e giovanissimi, in attesa che Saverio e Giulia diventino grandi abbastanza per utilizzarli a loro volta e invitare i propri genitori, nonni e amici a fare altrettanto in cambio di pochi spiccioli di bonus “invito”.
Le metamorfosi del denaro
In questo contesto, tuttavia, Giulia e Saverio sono tutto fuorché dei clienti (o delle vittime, a seconda dei punti di vista) predestinati delle nuove tecnologie. Se è indubbio che il denaro elettronico proseguirà per molti anni ancora nella sua diffusione planetaria, anche in un Paese come il nostro tradizionalmente “attaccato” al contante, nondimeno non è affatto scontato che la forma predominante di pagamento in un prossimo futuro possa essere quella di WhatsApp Pay o di qualsiasi altro servizio che faccia uso di una determinata app e di un terminale come lo smartphone, soggetto a limitazioni nella durata della batteria e nella disponibilità di accesso alla Rete.
Forse Giulia e Saverio pagheranno l’affitto di casa, una volta diventati adulti, con la app della prima banca in cui hanno aperto un conto, ma per le piccole spese di ogni giorno faranno uso di una app che si baserà su un circuito di moneta complementare come Sardex; allo stesso tempo, conserveranno nel portafoglio qualche biglietto da 50 euro per gli acquisti che desidereranno mantenere il più possibile “anonimi” (alla banca, o alla stessa WhatsApp Pay), mentre utilizzeranno ancora la carta di credito in vacanza per non dover dipendere dalla batteria dello smartphone; infine, continueranno probabilmente a servirsi di un braccialetto ricaricabile e “contactless” per pagare i biglietti e le bevande ai concerti, alle partite di basket, ai musei, mentre i loro figli guadagneranno qualche mancia “extra” con i propri video online ricevendo in cambio “rubini” di TikTok dai propri follower più affezionati.
Sono numerosi i video che mostrano come “guadagnare” con TikTok,
ricevendo donazioni in forma di “rubini” o “diamanti” dai follower
e convertendo questi ultimi in dollari o in euro su PayPal
Un percorso di apprendimento che non è né semplice, né scontato
Il percorso di apprendimento con cui Giulia e Saverio arriveranno a muoversi agevolmente tra le diverse “forme” del denaro non è semplice, né scontato. La difficoltà a cui devono far fronte oggi non è tanto quella di capire come funzionano le app, i braccialetti, le carte, quando di comprendere il valore di un’unità di misura e mezzo di scambio che non ha più né una forma, né tantomeno un “valore” universale: quanto valgono 10.000 “rubini” di TikTok in Euro, e quanto vale la stessa somma per chi vuole solo farsi notare dagli influencer della app?
Dal punto di vista di un bambino, o di un preadolescente, il denaro che transita attraverso circuiti digitali assomiglia sempre più a una “password” numerica con cui accedere a un mondo di servizi e oggetti del desiderio, materiali e immateriali che siano. Perché la mamma non dovrebbe condividere con Giulia 50, 500 o 5.000 euro in una sola volta tramite WhatsApp Pay o qualsiasi altra app adottata in famiglia, se tempistiche e modalità di invio sono pressoché identiche tra loro?
La domanda, di per sé banale, non ha una risposta soddisfacente per chi si muove attraverso una scala di valori radicalmente diversa rispetto a quella degli adulti. Se 5.000 rubini di TikTok non hanno alcun valore una volta convertiti in euro, nondimeno quegli stessi rubini sono l’unica valuta accettata dagli influencer all’interno della piattaforma oggi più popolare tra gli utenti minorenni, come Giulia e Saverio, perché è con i rubini che si ottiene un riscontro, un messaggio personalizzato, una dedica dal proprio “influencer” preferito.
Insegnare ai bambini a muoversi tra le diverse forme del denaro, tra le sue molteplici reincarnazioni sotto forma di dispositivi e denominazioni volutamente giocose, dai “rubini” e “diamanti” di TikTok alle “stellette” di Facebook, dai “salvadanai” delle app occidentali alle “buste regalo” di WeChat, potrebbe non essere un compito semplice per quegli adulti che a loro volta hanno sempre avuto difficoltà, con la tecnologia e soprattutto con il denaro stesso.
Un’educazione finanziaria che non sia puro “terrorismo” psicologico
Il rischio, in questi casi, è quello di scambiare quella che dovrebbe essere una vera e propria materia di studio (l’educazione finanziaria, di cui il digitale è solo una parte, seppur sempre più importante) in un ennesimo motivo di terrore psicologico degli adulti nei confronti dei più giovani, impossibilitati a gestire i risparmi per proprio conto per evidenti limiti anagrafici.
Quali sono i rischi legati all’utilizzo del denaro elettronico, e quali i rischi legati all’utilizzo del denaro contante? In quali contesti è meglio affidarsi a una app, in quali è meglio utilizzare una carta prepagata? Non esistono risposte assolute, né tantomeno è disponibile oggi una indagine seria sui potenziali rischi per la privacy a seconda delle diverse piattaforme di pagamenti digitali utilizzate.
Ancor prima che il denaro elettronico, tuttavia, è l’argomento “denaro” in generale a essere per lo più un argomento “tabù” nelle conversazioni tra genitori e figli minorenni: se ne parla a tavola solo quando questo viene utilizzato “male”, o non è sufficiente a rispondere ai desideri del momento. Tantomeno se ne parla a scuola, o tra coetanei (se non per vantarsi di improbabili guadagni ottenuti grazie al web).
Parlare di denaro ai bambini e agli adolescenti, fin dalla più tenera età, potrebbe tuttavia rappresentare un primo, importante passo per togliere al denaro quell’aura mitica di mistero e onnipotenza, che circonda tutte le tecnologie di cui si ha una conoscenza solo sommaria, mutuata dal linguaggio ottimistico della pubblicità (e di cui WhatsApp Pay è solo l’ultimo esempio).
La stessa paghetta, elettronica o “cartacea” che sia, viene non di rado utilizzata a sproposito dagli adulti: come mezzo coercitivo per costringere i figli a fare i compiti, a fare le pulizie, anziché come strumento educativo tout court. Solo sbagliando, “a spese” del genitore, il bambino e l’adolescente sono tuttavia in grado di acquisire la consapevolezza del fatto che neppure il denaro elettronico è una risorsa illimitata.
Perdere soldi, a piccole cifre per volta, e poter parlare di questo in famiglia senza eccessivo timore, è il modo migliore per prevenire un disorientamento che prima o poi colpisce tutti, giovani e meno giovani: il disorientamento dato dall’avere tra le mani la “password” di accesso a un mondo di desideri illimitato, e di sapere che una volta esaurite le “password” a disposizione non si potrà tornare indietro con la stessa facilità con cui si è utilizzata l’impronta digitale per “autorizzare il pagamento” istantaneo.
Per la cronaca: il valore di 10.000 “rubini” di TikTok è pari a un euro; secondo l’ultimo concorso “TikTok TAAC” la ricompensa prevista per far registrare un “amico” alla app è di 20.000 “rubini”.
Dieci spunti e idee per cominciare a parlare di denaro ai bambini e agli adolescenti. Quali sono i vostri?
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inserire il denaro in una prospettiva immanente mostrando loro raccolte di monete, vecchie banconote conservate per caso o trascorrendo una giornata insieme in luoghi come il Museo del Risparmio di Torino
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associare il denaro al concetto di “accumulo” – di tempo, di risorse, di lavoro scolastico – ad esempio definendo con largo anticipo il momento di un acquisto importante (e rispettando la promessa, ove possibile)
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parlare a tavola di scelte finanziarie che riguardano il futuro della famiglia, accordandosi tra genitori per adottare un approccio razionale e pacato che possa essere d’esempio ai bambini, soprattutto nel futuro
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definire una paghetta settimanale o mensile e accettare il fatto che il bambino possa spenderla in maniera “errata”, aiutandolo a riconoscere i propri errori e a riflettere sulle premesse che hanno portato a questi ultimi
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mostrare loro le diverse modalità di pagamento, dalle app alle carte, mentre si utilizzano queste ultime, per aiutarli a prendere confidenza con strumenti diversi che rispondono a esigenze diverse
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creare un clima che sia il più possibile favorevole al dialogo e al confronto su questi temi: accettando la possibilità di errore, a partire dalla constatazione che i “valori” economici degli adolescenti di oggi possano essere diversi da quelli degli adolescenti del passato
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informarsi, ove possibile, sulla presenza di forme di micro-pagamento all’interno di videogame, di app e servizi digitali utilizzati dai propri figli e sperimentare questi ultimi insieme a loro, per intuirne i pericoli e demistificarne le promesse implicite
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non fare troppo affidamento alle presunte ‘comodità’ della tecnologia: una volta superata una certa soglia di età l’unico modo per responsabilizzare i propri figli è la disattivazione, consapevole e definitiva, del ‘parental control’ sulle spese non autorizzate
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perché il denaro dovrebbe essere un argomento troppo “ostico” da affrontare? Basta scegliere con cura le occasioni giuste: una giornata a un festival, dove ormai si paga solo con dispositivi elettronici, può diventare l’occasione per un gioco in famiglia su chi riesce a risparmiare di più fino alla fine della giornata
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accettate il fatto che anche i vostri figli possano avere molto da insegnarvi: il tempo che trascorrono nello studiare le app, nel mettere a confronto i diversi servizi e le opzioni “nascoste”, è un tempo di apprendimento prezioso e che può essere utile a tutta la famiglia