“E se lanciassi una newsletter a pagamento?”
Sono sempre di più i giornalisti che decidono di abbandonare la collaborazione con i giornali per lanciare una propria newsletter a pagamento: l’esempio di Casey Newton nell’era dei social e della condivisione gratuita.
Lo spunto per un articolo sulle newsletter dei giornalisti non poteva che arrivare… dalla newsletter di un giornalista. Nell’ultimo episodio di “Ellissi”, la newsletter settimanale gratuita di Valerio Bassan dedicata al mondo dei media online, si può leggere infatti un interessante approfondimento su un fenomeno in atto da tempo nel giornalismo americano: quello dei giornalisti che lasciano, del tutto o in parte, i giornali per cui collaborano per lanciarsi nell’impresa di fondare da zero una nuova newsletter a pagamento, con l’obiettivo di farsi sostenere economicamente da un ristretto numero di lettori abbonati per qualche decina di euro al mese. “Al grido di ‘going niche!‘ – scrive Valerio Bassan – molti noti reporter americani hanno deciso di mollare le proprie scrivanie in prestigiose redazioni per provare a costruire un rapporto più diretto con la propria audience”.
Dieci euro al mese per una newsletter a pagamento sui “retroscena” della Silicon Valley
Tra i numerosi esempi di newsletter di giornalisti citati da “Ellissi” – come “Reporting” di Matt Taibbi, “Popular Information” di Judd Legum e “Culture Study” di Anne Helen Petersen – ce n’è una che ha richiamato la mia attenzione: la newsletter a pagamento di Casey Netwon, giornalista di The Verge che nel corso degli ultimi anni ha pubblicato articoli e inchieste fondamentali sulle condizioni e le modalità di lavoro dei moderatori di contenuti online dei principali social media al mondo. Da “Bodies in Seats” a “The Trauma Floor”, le inchieste di Casey Newton sono oggi una delle fonti più esaustive di testimonianze per chi studia la moderazione di contenuti commerciale, come il sottoscritto, e sono da sempre accessibili gratuitamente sul sito di “The Verge”.
Da un po’ di tempo a questa parte, tuttavia, Casey Netwon ha deciso che il suo lavoro di inchiesta non meritava più di essere letto gratuitamente da tutti i lettori – esperti e non, interessati e non – di questi argomenti. Oggi la maggior parte del lavoro di Newton è fruibile solo abbonandosi alla sua newsletter personale, “Platformer”, al costo di 10 dollari al mese: una cifra curiosamente simile agli abbonamenti mensili di una Netflix o Spotify. Solo un articolo a settimana è fruibile gratuitamente, e a un occhio più attento è facile capire perché: questo stesso articolo può essere letto senza “paywall” sia sul sito web di “Platformer”, sia sul sito web di “The Verge”, con cui non ha mai smesso davvero di collaborare. Giornalista “per pochi”, quindi, ma con un piede ancora ben dentro quel giornale che ha fatto conoscere il suo lavoro al resto del mondo.
Casey Newton fra “The Verge” e “Platformer”, nell’attesa di sapere cosa faranno gli abbonati
L’ambiguità di questa scelta non è casuale: le probabilità di successo dei progetti di newsletter a pagamento sono ancora ben lungi dall’essere state stimate con cura, e perfino un giornalista affermato come Casey Netwon potrebbe aver bisogno di tornare alla propria “scrivania” qualora Platformer non riuscisse a raggiungere la massa critica sufficiente per potersi autofinanziare nel medio periodo (ad oggi, dichiara di avere oltre 20.000 abbonati). Dopo l’entusiasmo iniziale, il numero degli iscritti potrebbe sensibilmente calare nel corso del tempo nel momento in cui questi ultimi si renderanno conto di non poter fare nulla di più che ricevere passivamente il contenuto “creato, impacchettato e spedito” da Newton: non possono condividere un link alle sue inchieste sui social, non possono condividerlo via WhatsApp o Signal, non possono fare nulla più che leggerle e rispondere con una mail al mittente.
Sulla carta, il modello di newsletter a pagamento sembra essere ottimo per chi lo produce: assicura piena indipendenza editoriale e un rapporto più diretto e quasi “intimo” con il lettore. Nella realtà dei fatti, tuttavia, questo modello di business presenta non pochi svantaggi per il lettore: impossibilità di condividere il contenuto con altri che non siano a loro volta utenti paganti della newsletter, difficoltà di trovare questo contenuto a distanza di tempo dalla sua pubblicazione tramite un motore di ricerca, difficoltà di dibattere “in pubblico” con altre persone interessate all’argomento o con il suo autore. Attività, queste, che vengono date oggi quasi per scontate e che sono all’origine dello stesso successo di Casey Newton: giornalista che grazie al web e e ai social ha reso “di massa” un argomento di nicchia come quello della moderazione dei contenuti, e che ora vorrebbe trasformare per sua stessa ammissione i retroscena della Silicon Valley in un argomento per pochi, fedeli lettori paganti.
Dalle inchieste di massa ai retroscena per pochi intimi
Il lettore non è, almeno non lo è necessariamente, un sostenitore più malleabile di un caporedattore o di un editore: non vuole essere un soggetto passivo, non si lascia facilmente coinvolgere da argomenti che non conosce, può annullare un abbonamento mensile a una newsletter con la stessa facilità con cui oggi annulla l’abbonamento a Netflix. Per non parlare, infine, del fatto che una newsletter – se ben fatta – non può avere la stessa lunghezza di un articolo di inchiesta: lo stile narrativo, quasi “in presa diretta”, con cui Casey Netwton ha raccontato la vita quotidiana dei moderatori di contenuti sembra mal adattarsi ai format contingentati e ai limiti tipici di una newsletter. Contenuti che hanno un ciclo di vita di qualche anno e una diffusione potenzialmente globale si ritrovano così a svanire nel qui e ora per poche decine o centinaia di lettori “privilegiati”.
I lettori, oggi, vogliono essere liberi di fare quello che vogliono con i contenuti: condividerli, inoltrarli, commentarli con la propria, personale audience di follower e “amici” di Facebook, Twitter o LinkedIn. Lo stesso vuole fare chi viene intervistato: non sono sicuro che i moderatori di contenuti che in passato hanno condiviso la loro preziosa testimonianza con Casey Netwon avrebbero fatto lo stesso qualora egli avesse deciso di pubblicare queste testimonianze in un articolo protetto da “paywall”, e quindi inaccessibile alla stragrande maggioranza dei lettori online. Se fare una newsletter è sempre una buona idea, non sembra esserlo quella di mettere la maggioranza dei contenuti a pagamento senza pensare ai bisogni del proprio pubblico di lettori e potenziali fonti di notizie: forse, prima di dichiarare “Going Niche!” bisognerebbe prima assicurarsi che questa “nicchia” esista davvero.
Foto di Glenn Carstens-Peters on Unsplash.
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