Quello che è interessante, nella vicenda “Trump-Twitter”, è il “modo” in cui il social dei 280 caratteri presenta il suo servizio di “fact-checking”, molto più elaborato rispetto alle poche righe di commento che solitamente appaiono su Facebook.
Ci aveva già provato qualche mese fa, Twitter, a smentire pubblicamente Donald Trump: era il 9 marzo 2020 quando la piattaforma guidata con alterne fortune da Jack Dorsey aveva contrassegnato come “deepfake” un video retwittato dall’account personale (e verificato) del Presidente degli Stati Uniti.
Il 26 maggio 2020, invece, Twitter ha raggiunto un nuovo primato: per la prima volta nella storia dei social media un tweet di Donald Trump relativo ai rischi delle votazioni tramite posta è stato contrassegnato come un’informazione incorretta.
https://twitter.com/realDonaldTrump/status/1265255835124539392?s=20
Sotto al tweet “incriminato” di Trump, infatti, è apparso un messaggio impossibile da ignorare: “Get the facts about mail-in baillots“. Un invito esplicito ad approfondire la notizia, attraverso le fonti “verificate” da Twitter.
Non, quindi, un avviso “standard” come quelli che appaiono su Facebook, bensì un messaggio personalizzato rivolto agli utenti del social per invitare questi ultimi a dubitare della veridicità delle dichiarazioni del presidente.
Facendo clic sulla scritta “Get the facts” si accede infatti a un’ulteriore pagina web che raccoglie una serie di tweet correlati: ho ritenuto utile realizzare un video-screenshot della pagina, nel caso in cui questa fosse in seguito rimossa.
Video-screen della raccolta di tweet realizzata da Twitter
La pagina che raccoglie i tweet di “fact checking” non è altro che una delle tante pagine generate quotidianamente dell’account @TwitterMoments, un servizio del social media che raccoglie i tweet più interessanti del giorno: un segnale che il “fact checking” secondo Twitter si candida a diventare un vero e proprio “servizio” offerto dalla piattaforma ai suoi utenti. All’interno della pagina si possono leggere una serie di tweet pubblicati in seguito a quello di Trump a opera di:
- quotidiani nazionali e locali
- account di giornalisti
- account di politici vicini a Trump
… tutti, inevitabilmente, contrassegnati dal “bollino blu” degli account “verificati” da Twitter, un riconoscimento che viene concesso manualmente dalla piattaforma ad account di particolare rilevanza pubblica, politica e sociale.
Più che fact-checking, una “rassegna stampa” fatta a mano
In sintesi, il servizio di “fact-checking” che Twitter offre agli utenti non è altro che una raccolta di tweet estremamente polarizzati tra loro, una rassegna stampa in tempo reale che comprende al suo interno:
- i tweet di “fact checking” vero e proprio, realizzato da giornalisti e quotidiani e condiviso da questi ultimi su Twitter
- le contro-smentite via tweet dei politici e quotidiani vicini a Trump, che appoggiano e rilanciano le dichiarazioni del presidente
Una selezione, quindi, di alcuni tweet riguardanti un dibattito di portata nazionale viene compiuta non da un algoritmo, non dai “fact checker” stessi, ma da una “redazione” interna a Twitter i cui volti e i cui criteri editoriali sono del tutto ignoti.
L’unico filo conduttore di questa selezione di tweet di “fact-checking” e di smentite del “fact-checking” stesso è, come si vede nel video, la presenza del “bollino blu” su tutti gli account selezionati: solo gli account “verificati” da Twitter hanno quindi la possibilità di “smentire” i tweet di altri account “verificati”?
Peccato che il processo di verifica degli account sia tutto fuorché un processo trasparente, come riportato in un recente articolo di The Verge. Che speranze hanno i tweet di quei giornalisti e siti d’informazione indipendenti, di quei politici e opinionisti che non sono mai stati “riconosciuti” da Twitter come account “verificati”, di apparire nella “rassegna” di tweet? Pari a zero, al momento.
In conclusione, ci stiamo addentrando nel territorio sconosciuto in cui un pugno di dipendenti (non si sa con quali competenze editoriali e investigative) di una delle maggiori “media company” al mondo opera una selezione manuale delle informazioni, per dare a queste ultime una visibilità che altrimenti non avrebbero avuto.
Potrebbe anche essere una soluzione tutto sommato ottimale per quanto riguarda la vicenda in sé: e per tutti gli altri tweet di Trump? E per tutti gli altri tweet che contengono informazioni “false“, pubblicate da account “non verificati” e smentite a loro volta da account “non verificati“?
Aspettiamo, senza troppa speranza, una risposta.