Chi non vuole DuckDuckGo?

Nella settimana in cui DuckDuckGo supera per la prima volta le cento milioni di ricerche quotidiane molti si domandano perché i motori di ricerca alternativi a Google non riescano tuttora ad affermarsi a livello globale.

La stampa è favorevole, gli utenti si dichiarano interessati, i governi sono (almeno a parole) dalla sua parte, eppure DuckDuckGo sembra essere tutto fuorché un modello di motore di ricerca in grado di impensierire il predominio assoluto di Google, almeno in Occidente: rispetto ai cinque miliardi di ricerche quotidiane compiute sul motore che fa capo alla holding Alphabet, quello fondato nel 2008 da Gabriel Weinberg sulla promessa di tutelare a ogni costo la privacy degli utenti ha superato per la prima volta le 100 milioni di ricerche quotidiane solamente il 18 gennaio 2021. A questo ritmo di crescita, potrebbe arrivare a superare il miliardo di ricerche giornaliere non prima del 2027, secondo una stima del magazine specializzato “Search Engine Land”.

DuckDuckGo e il valore delle ricerche sugli argomenti più “sensibili”

A una prima vista, DuckDuckGo sembra essere un motore di ricerca come tutti gli altri, seppur con meno filtri disponibili: è possibile organizzare i risultati per “immagini”, “video”, “notizie”, “mappe”, per Paesi e date, senza poter definire un intervallo più preciso o meno recente di un generico “ultimo anno” o “ultima settimana”, mentre nelle “mappe” non è possibile avere un’indicazione dei tempi e modalità di spostamento attraverso mezzi che non siano l’auto o la camminata a piedi. Risultati di ricerca organici e a pagamento (forniti attraverso Microsoft Ads) sono presenti, ma questi ultimi si confondono più facilmente con i primi perché l’avviso di “Annuncio” appare alla fine del titolo e non all’inizio dell’annuncio stesso, come avviene su Google.

La stessa ricerca su DuckDuckGo (a sinistra nell’immagine) e Google (a destra) porta a visualizzare un annuncio simile ma presentato in maniera diversa, non immediatamente distinguibile dai risultati di ricerca organici.

In questo senso, DuckDuckGo appare oggi come un motore di ricerca “primitivo”, volutamente essenziale nelle funzioni e nelle possibilità di filtraggio manuale: un motore di ricerca tutt’al più consigliabile per coloro che vogliono ottenere informazioni recenti, generiche e sensibili senza che i propri dati vengano condivisi con l’esterno. Più che uno strumento per tutte le necessità e le occorrenze, esso potrebbe infatti ambire a diventare l’opzione di “default” per quelle ricerche che riguardano aspetti sensibili della vita personale degli utenti e che questi ultimi non vogliono condividere con nessuna entità – umana o tecnologica che sia: informazioni sul proprio stato di salute o finanziario, sul proprio orientamento religioso e sessuale.

DuckDuckGo, in questo senso, potrebbe sottrarre a Google un volume di ricerche statisticamente irrilevante, ma fondamentale per quanto riguarda la capacità del concorrente di indagare in maniera approfondita i reali interessi di ogni singola persona, per rivendere previsioni accurate sul comportamento futuro di quest’ultima agli inserzionisti interessati ad acquistarle. Deprivato della capacità di profilare l’utente dal punto di vista dei suoi legami sentimentali, del suo stato di salute, delle sue possibilità finanziarie, dei suoi interessi meno “condivisibili” con l’esterno, Google potrebbe diventare in futuro sempre meno in grado di fornire risultati di ricerca “personalizzati” e inserzioni “pertinenti” a causa del venire meno di ricerche poco frequenti ma altrettanto – se non più – rivelatrici degli interessi e delle possibilità “reali” di ogni persona che utilizza i suoi servizi.

Dalla filter bubble individuale a quella collettiva: quando alla privacy non segue la trasparenza

La domanda, a questo punto, non è più tanto sulla possibilità che DuckDuckGo possa in futuro superare Google in termini di volume di ricerca e quote di mercato, quanto sulla possibilità che i contenuti forniti da DuckDuckGo siano all’altezza del bisogno di informazione degli utenti su argomenti particolarmente complessi. Per quanto importante, la tutela della privacy sembra infatti essere ad oggi l’unico punto a favore di DuckDuckGo rispetto a gli altri motori di ricerca tradizionali: non esistono sufficienti analisi che dimostrino come i risultati di ricerca del primo siano più accurati o pertinenti rispetto a quelli di tutti gli altri, non esistono prove che gli articoli, le immagini e i siti web siano presentati su DuckDuckGo secondo un ordine gerarchico più accurato, “neutrale” o semplicemente più trasparente rispetto a quello definito di volta in volta dai concorrenti.

Come funziona l’algoritmo di cui si serve DuckDuckGo? Come operano i suoi “quality rater”? Quanti sono e come agiscono i moderatori di contenuti potenzialmente pericolosi per la salute psichica e fisica degli utenti? Se la tutela assoluta della privacy di questi ultimi impedisce a DuckDuckGo di fornire risultati personalizzati in base alle ricerche compiute in passato, nondimeno i risultati di ricerca stessi sono ordinati secondo un ordine che non è per forza di cose meno condizionato da bias, pregiudizi ed errori di calcolo e interpretazione: dalla “filter bubble” individuale di Google in cui ogni persona vede contenuti diversi rispetto ai contenuti visti da altri utenti sulle medesime ricerche, potremmo rischiare di finire in una “filter bubble” collettiva in cui ciò che non appare nella prima pagina di risultati di DuckDuckGo o di altri motori di ricerca simili non appare in assoluto, per nessun utente che si serve del servizio e che potrebbe essere interessato a fonti alternative o semplicemente meno recenti.

Il pericolo di una “filter bubble” collettiva, ancora più opprimente delle miliardi di “filter bubble” individuali a dimensione variabile in cui siamo immersi quotidianamente, diventa tanto più rilevante quanto più i motori di ricerca come DuckDuckGo dispongono di un numero minore di contenuti indicizzati rispetto a quello dei concorrenti maggiori: secondo un’inchiesta del New York Times, infatti, i crawler dei motori di ricerca minori avrebbero oggi minori possibilità di scansionare la totalità del web rispetto ai crawler dei motori di ricerca più importanti, a causa del blocco all’indicizzazione posto da alcuni grandi e piccoli siti per ragioni di risparmio economico o di procedure di sicurezza particolarmente rigide. In questo senso, i contenuti disponibili su DuckDuckGo potrebbero essere solo una parte dei contenuti pertinenti ed esistenti sul web: troppo recenti, troppo poco diversificati per poter rispondere a un bisogno di informazione in costante mutamento.

La SEO è un “puzzle”, ma solo se vista da vicino

Chi non “vuole” DuckDuckGo? Probabilmente, la causa del lentissimo emergere di motori di ricerca alternativi va ricercata in primis nelle strategie messe in atto dai proprietari di siti web che limitano la cura della propria presenza ai “soliti” Google e Bing ignorando l’evoluzione dei comportamenti e dei bisogni degli utenti online. Sono i proprietari dei siti (o i loro amministratori) che decidono, infatti, di bloccare selettivamente i crawler dei motori di ricerca come DuckDuckGo che assicurano oggi meno traffico organico, o che concentrano i loro sforzi per essere maggiormente visibili su Google anziché preoccuparsi di investire tempo e risorse per aumentare la propria visibilità e rilevanza anche su fonti di traffico alternative e basate sul rispetto della privacy degli utenti.

Lo stesso Neil Patel, autorità internazionale in ambito SEO (ottimizzazione per i motori di ricerca), in un lungo articolo dedicato all’ottimizzazione dei contenuti per DuckDuckGo ricorda come quest’ultimo – caratterizzato da utenti mediamente più interessati alla propria privacy di altri, più disposti a trascorrere più tempo su un sito web e a rimanerci dopo aver visitato la prima pagina – stia diventando una componente non trascurabile del complesso “puzzle” di cui si compone l’audience online di un’azienda, di un giornale, di un partito politico o di un’associazione: un puzzle che, tuttavia, tende a fondersi in un’unica immagine quanto più si tende a osservarlo da lontano, affidandosi alla legge dei grandi numeri dispensati da Google e da quanti non prevedono alcuna alternativa quando si tratta di tutelare gli aspetti più intimi della vita del proprio pubblico.

jacopo franchi

Autore

Jacopo Franchi

Mi chiamo Jacopo Franchi, sono nato nel 1987, vivo a Milano, lavoro come social media manager, sono autore del sito che state visitando in questo momento e di tre libri sui social media, la moderazione di contenuti online e gli oggetti digitali.

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