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Quanto è comoda questa “echo chamber”

E se non fossero gli algoritmi all’origine delle “echo chamber” sui social, ma il tentativo delle persone di “difendersi” dall’arbitrio di questi ultimi?

 

Una tentazione irresistibile: silenziare gli “amici” che condividono contenuti che non ci interessano, bloccare gli utenti che non vogliamo vedere nel nostro flusso di notizie.

Succede a tutti, prima o poi, di servirsi degli strumenti messi a disposizione dei social media nell’illusione di poter riportare in questo modo la realtà sotto controllo.

Una tentazione ancora più forte in questi giorni di pandemia, dove ognuno dei nostri contatti esprime un’opinione personale non richiesta e, talvolta, non gradita.

Grazie ai social chiunque, oggi, è in grado di costruirsi una “echo chamber” all’interno della quale opinioni e le notizie contrarie non possono arrivare in altro modo.

Bloccare, silenziare, eliminare: opzioni presentate come strumento di difesa, vengono utilizzate da alcuni utenti per costruirsi un mondo (virtuale) a propria somiglianza.

Non sono gli algoritmi dei social a creare le “echo chamber”: sono le persone a filtrare di proposito le opinioni non gradite, i contatti da cui non vogliono ricevere aggiornamenti.

L’unica cosa che non possiamo bloccare è l’algoritmo

Perché, tuttavia, le persone dovrebbero utilizzare i social per costruirsi una realtà alternativa? Le opinioni altrui sono così intollerabili da dover essere “silenziate”?

La spiegazione è nella caratteristica comune di tutte queste opinioni: non richieste, ricevute senza essere state sollecitate, selezionate per noi dall’algoritmo dei social.

E’ l’algoritmo a decidere che cosa ognuno di noi vede ogni volta che ci colleghiamo a Facebook, l’algoritmo a selezionare le opinioni e le notizie per noi più rilevanti.

Non c’è modo di bloccare questo meccanismo di selezione automatica: al massimo, è possibile impedirgli di selezionare una seconda volta contenuti non desiderati.

Bloccare, silenziare, eliminare, come forma di difesa dal potere assoluto concesso all’algoritmo di decidere quando, chi e che cosa vedremo nel nostro flusso di notizie.

Non sono gli algoritmi dei social a creare le “echo chamber”: sono questi ultimi, tuttavia, che portano molte persone a rinchiudersi istintivamente in una “bolla” di protezione.

Newsfeed cronologico vs newsfeed algoritmico

La soluzione, tuttavia, non si trova nel “ritorno” all’originale ordine cronologico in cui i contenuti apparivano nel newsfeed, opzione tra l’altro già alla portata di tutti gli utenti.

Facebook, Twitter e LinkedIn offrono da tempo la possibilità di modificare l’ordine in cui i post appaiono nel flusso, da “rilevanti” a “più recenti”, ma senza grande successo.

Newsfeed cronologico e algoritmico sono le due facce della medaglia: entrambi funzionali a estrarre dati dagli utenti, sollecitando la reazione istintiva di questi ultimi.

Algoritmico o cronologico che sia, il “newsfeed” raccoglie al suo interno una quantità di informazioni diverse e non pertinenti cui non tutti sono in grado di far fronte.

L’echo chamber diventa quindi una sorta di protezione verso l’esposizione diretta a una molteplicità inattesa di notizie, fatti, opinioni che non si è in grado di gestire altrimenti.

Bloccare, silenziare, eliminare: per costruirsi un mondo digitale su misura, e rinchiudersi al suo interno ogni volta che il mondo “reale” sembra diventato ingovernabile.

 

(foto di Nick Fewings, da Unsplash)

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