Breaking Banks: la banca del futuro? Forse non si chiamerà più così

Edito da Laterza e “Che Futuro!”, “Breaking Banks – la banca reinventata” di Brett King (tra i founder di Movenbank) è un libro sul futuro della finanza, delle banche e di come molti di noi stanno già sviluppando un modo diverso di considerare il denaro e il risparmio. Sempre più virtuale il primo, sempre più pervasivo e quantificato il secondo. Con il rischio, o l’opportunità, che non chiameremo più “banche” le aziende cui affideremo i nostri soldi.

La banca del futuro? Probabilmente, non si chiamerà più così, o non avrà tutte le caratteristiche di un istituto di credito dei nostri giorni, nemmeno di quelli nati online o digitalizzati dopo molti sforzi e resistenze vinte: questo almeno sostiene l’autore di “Breaking Banks”, uno degli ultimi libri di Brett Kings tradotti e pubblicati in Italia all’interno della collana di Laterza realizzata con il contributo di “Che Futuro”.

Come per molte professioni, se il futuro delle banche si colora di tinte fosche, quello dei banchieri, che prima di altri sapranno interpretare le dinamiche in corso nel loro mestiere, è più roseo che mai. La banca è un servizio essenziale, universale, ma che potrebbe da qui a pochi anni essere destrutturato e suddiviso in una serie di aziende minori, ognuna delle quali in grado di svolgere al meglio una specifica funzione: ad esempio, nella conservazione e nel trasferimento del denaro da un utente a un altro. “Nel 2020 – scrive Brett King – il normale conto in banca sarà divenuto inseparabile dal telefono: o, meglio, ‘sarà’ il telefono”.

https://www.youtube.com/watch?v=vQ30_k6zalI

Movenbank: “you’ll never think of banking the same way again”

La possibilità di connettersi in ogni momento del giorno, in qualunque luogo, di portare con sé i documenti essenziali per lo svolgimento della maggior parte delle comuni operazioni bancarie e di avere un feedback immediato sulle decisioni di acquisto è un dato di fatto che suona ormai come una condanna a morte per la maggior parte delle filiali.

Un trend che è già realtà negli Usa, dove la dimensione media delle filiali nei centri urbani si è dimezzata negli ultimi cinque anni (da 557 a 204 metri quadrati) e il numero totale delle agenzie è calato dalle 99.500 unità nel 2009 alle attuali 96.341. In previsione, nei prossimi dieci anni il numero delle filiali potrebbe calare sotto la soglia psicologica delle 50.000 unità: chi l’avrebbe mai detto, tra quelli che consideravano il “posto fisso” allo sportello di una banca come un approdo più che sicuro?

Fintech: in che modo l’innovazione può arrivare dai Paesi in via di sviluppo

 

Se nella storia recente della tecnologia la maggior parte delle innovazioni – di prodotto, di servizio, di processo – sono state ideate e sperimentate dapprima nei Paesi più ricchi del mondo e solo dopo, spesso a distanza di molto tempo dal loro primo affermarsi, sono giunte in quelli più poveri, per quel che riguarda le banche questo paradigma potrebbe presto ribaltarsi.

Infatti, la possibilità di scambiare denaro tra pari (peer-to-peer lending) attraverso un semplice smartphone sta conoscendo una prima, importante diffusione proprio in quei Paesi dove maggiore è la percentuale di persone “unbanked”: quelli più poveri. I paesi in via di sviluppo sono tra i più interessati, inoltre, a sperimentare nuove forme di denaro immateriale, pensato e progettato per una fruizione digitale, che consente di coinvolgere anche coloro che, privi della possibilità di accedere al credito bancario e a strumenti di risparmio e gestione del denaro, sono stati per forza di cose fino ad oggi condannati a un regime di perenne sussistenza.

“A trarre vantaggi dal denaro in forma elettronica non sarà solo

chi già se la passa bene, o s’intende di tecnologie”

Assisteremo a una sorta di effetto boomerang – dichiara David Birch, ideatore del Digital Money Forumper cui quei servizi, dal mondo in via di sviluppo, arriveranno anche qui, nei Paesi sviluppati, per essere offerti a chi è relegato ai margini. Dunque, a trarre vantaggi dal denaro in forma elettronica non sarà solo chi già se la passa bene, o s’intende di tecnologie: in realtà grazie a questi strumenti potremo coinvolgere nell’economia un numero più ampio di persone, aiutandole a gestire meglio le proprie finanze e i propri comportamenti di spesa”.

 

 

Banche e digitale: un amore mai veramente sbocciato

 

Sebbene anche in Italia non manchino esempi di banche convertitesi anzitempo al digitale, quando non di banche nate e cresciute online, il rapporto del mondo bancario con i nuovi strumenti digitali non è mai sbocciato davvero.

Le banche, anche quelle più tecnologicamente avanzate, non sembrano essere ancora in grado di sfruttare pienamente la mole di dati che proviene dagli utenti che fanno uso dei loro servizi online: se così fosse, utilizzerebbero i canali di internet e mobile banking per offrire dei servizi in tempo reale ai clienti, dalla consulenza finanziaria a un feedback istantaneo sulle loro operazioni di spesa e strategie di risparmio, così come utilizzerebbero in massa i social media e le app di messaggistica istantanea non con l’obiettivo di promuovere l’esistente o rifarsi una verginità, perduta nel corso della crisi globale post-2008, ma come canali 24/7 di ascolto attivo della clientela e miglioramento dei propri servizi.

“Il cellulare cambia l’equazione su entrambi i versanti:

con un cellulare ognuno di noi può pagare, ed essere pagato”

Per come sono organizzate oggi le banche, è lecito ipotizzare che la maggior parte dei loro dipendenti e responsabili commerciali si aspetta che i clienti vengano da loro, richiamati da una qualche sirena pubblicitaria o dalla presenza capillare sul territorio, forti di una complessità di servizi e procedure che per decenni sono state impossibili, o molto costose, da riprodurre altrove. Confortate da un ruolo di “intermediari” che per secoli è stata la loro principale prerogativa, ma che l’avvento del digitale e il contemporaneo “credit crunch” (amplificato, in Italia e in altri Paesi, dalla crescita senza fine dei crediti deteriorati) potrebbe cancellare definitivamente, da un momento all’altro: “il cellulare cambia l’equazione su entrambi i versanti: con un cellulare ognuno di noi può pagare, ed essere pagato”.

 

 

Il “momento della verità” nella vita dei clienti in cui le banche sono assenti

Una disintermediazione che non riguarda solo il modo in cui gestiamo i nostri soldi, ma che tocca le modalità stesse con cui le persone –dai Millenials agli adulti più volonterosi di imparare a  sopravvivere alla nuova giungla digitale – intendono il rapporto con i loro interlocutori finanziari. “Se oggi Amazon costruisse il proprio sito con la stessa logica delle banche, farebbe un sito che ci consentirebbe di vedere tutto il suo catalogo di libri, ma se volessi comprarne uno ci costringerebbe ad andare materialmente in negozio: ebbene, oggi le banche sono le uniche aziende al mondo che affrontino il web in questo modo”.

L’intuizione, a mio modo di vedere fondamentale, di “Breaking Banks”, è che la gestione del denaro, dal momento del guadagno fino a quello della spesa, rappresenta un momento emotivamente molto importante nella vita degli individui. Tanto più forte, quanto più il denaro stesso si è fatto immateriale e privo, almeno in apparenza, di “attrito”.

Chi non prova un senso di soddisfazione, quando riceve la conferma dell’avvenuto versamento dello stipendio? Chi non prova un brivido di incertezza, quando il bancomat o la carta di credito non effettuano la transazione al primo tentativo? Chi non vorrebbe ricevere subito una confortante rassicurazione, o una secca smentita, quando vorrebbe imbarcarsi in un mutuo alla vista della casa dei suoi sogni? Come per tutti gli altri aspetti della vita, il passaggio al digitale ha moltiplicato per mille il numero di momenti della nostra giornata in cui ci può capitare di prendere una decisione cruciale per il nostro portafoglio.

È in quel “momento della verità” che le banche sono assenti. Lontane. Distanti. Incapaci di “connettersi” con il consumatore sfruttando quelle app che hanno già strategicamente piazzato sul suo cellulare, e di fornirgli un feedback – o suggerirgli tutta quella serie di servizi che i responsabili di filiale tentano, inutilmente, di vendere quando il cliente è venuto da loro per fare tutt’altro – nell’esatto momento in cui quest’ultimo ne ha più bisogno. Lontane anni luce dal pensare che la pianificazione delle finanze personali non segue uno schema predefinito, non si esaurisce in un appuntamento mensile, e non è un tema all’ordine del giorno per la maggior parte dei clienti: è un problema che si pone, con un grado di urgenza più o meno variabile, in luoghi e momenti che sono quanto di più lontano possa esserci dalla prevedibile e un po’ monotona quotidianità della filiale.

E sono domande che esigono risposte certe, tempi rapidi, capacità di valutazione immediate sulla base di un’analisi preliminare e continua dei dati relativi allo storico del singolo cliente. Chi, se non le banche, ha in mano tutti i dati che servono per conoscere le nostre abitudini? Chi altri, se non coloro che amministrano i nostri soldi, può e deve essere presente nel momento stesso in cui decidiamo di servircene?

Il business dei dati nel futuro delle banche

 

Tanto più se si considera che in un futuro ormai prossimo i dati che permetteranno di tracciare la nostra “impronta digitale” non saranno più semplicemente stringhe di testo e di numeri, ma potrebbero essere associati in maniera inequivocabile alla nostra voce o ai nostri attributi facciali. Un patrimonio, in termini di conoscenza del cliente e valutazione del suo profilo di rischio, che potrebbe essere un’ulteriore fonte di reddito per quelle banche che prima delle altre avranno saputo raccogliere questi dati e collegarli a delle schede clienti centralizzate.

Questo archivio d’identità affidabili, con tanto di dati biometrici ed euristiche potenzialmente rivendibili collegate a un conto corrente potrebbe diventare, tra i tanti dati in possesso di una banca, il tipo di dati con il Roi più elevato. C’è da guadagnare bene valorizzando questi dati per fornire un servizio a un’azienda che vuole autenticare il candidato a un colloquio di assunzione, oppure agli utenti di un sito di dating, o ancora a un agente immobiliare che vuole sapere se l’acquirente ha davvero accesso a un mutuo. Se c’è una cosa che le banche sanno fare bene è accertare l’identità di una persona, e se tale identità diventa digitale e verificabile le banche potrebbero avere un ruolo di primo piano nella partita”.

jacopo franchi

Autore

Jacopo Franchi

Mi chiamo Jacopo Franchi, sono nato nel 1987, vivo a Milano, lavoro come social media manager, sono autore del sito che state visitando in questo momento e di tre libri sui social media, la moderazione di contenuti online e gli oggetti digitali.

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