Lettera a un giovane suicida

Questa lettera è la mia reazione – emotiva e allo stesso tempo razionale – all’ennesima “notizia” del suicidio di un giovane, di 24 anni, ieri pomeriggio a San Michele al Tagliamento. E il destinatario sei tu, giovane, uomo o donna, che sta pensando di farla finita con tutti i problemi. Voglio solo che mi presti cinque minuti del tuo tempo, la cosa più preziosa che ci sia al mondo, e che mi segui fino in fondo in quello che sto per dirti, che io stesso ho dovuto imparare a caro prezzo.

Ciao,

lo so che ci stai pensando anche tu. Come quel ragazzo, di 24 anni, che ieri pomeriggio si è gettato sotto un treno in un paesino sconosciuto ai limiti della terra. Per disperazione, scrivono. Perché non trovava lavoro, insinuano. La realtà vera è che a nessuno – al di fuori dei suoi famigliari, e di me e te che scriviamo e leggiamo – frega nulla. I suicidi di giovani italiani, disoccupati, disorientati, abbandonati completamente a se stessi, ormai non fanno più notizia: meritano solo qualche riga, qualche commento amaro, e via, avanti il prossimo. E già su questo punto potremmo aprire una riflessione: il suicidio non ha più nessuna valenza politica.

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Il tempo degli Jacopo Ortis è finito da un pezzo, in Italia. E pure quello in cui il suicidio di un giovane, il suo martirio di protesta contro una società iniqua e corrotta, sollevava i popoli e le rivoluzioni. Sfortunatamente, non siamo in Tunisia – per gioia somma dei leghisti, che per lungo tempo hanno paventato l’invasione africana dell’Italia – non ci sarà una Primavera Araba in Italia sollevata dal suicidio di un giovane davanti ai Centri per l’Impiego: la disperazione di tanti non basta a riscattare la vergogna e la colpa di pochi. Perché questo, caro giovane, è un dato di fatto: non credere a quello che scrivono i giornali, non pensare neppure per un attimo che è colpa tua se questa società ha partorito un mostro cosmico che si chiama disoccupazione al 41%, non lasciarti invadere dalla convinzione di aver sbagliato qualcosa a seguire il tuo istinto. In una società “normale”, anche i più sfigati devono avere il diritto di trovare un loro posto nel mondo. Altrimenti, tanto vale ritornare alle caverne.

Stabilito che il suicidio non provoca nessuna reazione nella società, resta da convincerti a desistere dal tuo proposito. Non ti parlerò di quanto la vita è bella: la vita E’ bella, è un dato di fatto che la fantasia universale ha creato qualcosa, su questa Terra, di incomparabile, meraviglioso e ignoto allo stesso tempo. Purtroppo, spesso capita di non poter apprezzare questa bellezza. E non è per colpa nostra: quando manca il lavoro, quando mancano gli amici su cui fare affidamento, quando le parole dei genitori non aiutano più e la convivenza con loro sembra impossibile da sopportare, quando qualunque porta sembra chiusa a chiave, il mondo intero perde colore, senza che possiamo fare nulla per farlo tornare come era prima. E non è un inganno dei sensi, tutt’altro.

Alcuni la chiamano “depressione”, trovando in essa una causa genetica che fa rientrare dalla finestra il determinismo dei filosofi antichi. Io la chiamo lucidità di analisi, realismo, coraggio. Credo che molti dei ragazzi di cui abbiamo sentito parlare, che in questi mesi si sono tolti la vita perché non avevano trovato il loro “posto nel mondo” (un impiego, una ragione di vita, qualcosa che li facesse alzare al mattino) hanno avuto – come pochi dei loro coetanei – il coraggio di guardare in faccia la realtà, senza déi e senza falsi miti, constatare la fine delle illusioni che avevano illuminato il cammino dall’infanzia alla prima giovinezza, rendersi conto delle disuguaglianze che i loro genitori avevano cercato fino all’ultimo di nascondergli, capire in fretta che tutti i discorsi di politici, vassali e valvassori altro non erano che chiacchiere da disperdere al vento.

Tu non hai sbagliato nulla, nell’arrivare fino a qui. E per “qui” intendo una condizione di totale passività, delusione, disperazione, di fronte all’insignificanza della tua vita agli occhi del mondo: è una reazione fisiologica, direi quasi “naturale”, quando si decide di portare fino in fondo l’analisi di ciò che si ha attorno. Succede ai sognatori, ai romantici, agli atei, e a chi sta per diventare adulto.

 Quello che non devi fare è rivolgere questi strumenti di potere – gli strumenti dell’analisi, della comprensione, dello sguardo che attraversa il mondo e le cose fino ad arrivare al loro ultimo significato, che solo in pochi possiedono e hanno saputo affinare – contro di te. Non sei tu l’origine di questo male, di questi anni di merda che hanno avvelenato ogni persona. Non è colpa tua se mandi 100 curriculum e ti rispondono picche, se su Internet la maggior parte degli annunci che si trovano sono truffe, se al Centro per l’Impiego del tuo paese non hanno aggiornato il database dei mestieri dalla fine della guerra, se gli amici di un tempo si sono costruiti una prigione d’oro che ha l’aspetto di una villetta di campagna, e se quegli imbecilli di giornalisti perdono tre ore del loro tempo a scrivere che in Italia il lavoro c’è e che basta adattarsi a fare di tutto. Lo facessero loro, invece che perdere tempo a riscrivere comunicati stampa!

Non sei tu che devi pagare, offrendo in pegno la tua vita, per il fallimento di un’intera società. Suicidarsi vuol dire – non sto parlando di eutanasia per malattie incurabili, sia chiaro! – dargliela vinta, una volta per tutte. Significa lasciare agli altri – a questa stessa società, che senza troppi complimenti ti ha messo in un angolo – l’ultima parola sul significato della tua vita. Significa perdere l’occasione – un’occasione che esiste finché tu esisterai – di risollevarti e trovare la tua strada in mezzo alle macerie di un mondo – quello di chi ci ha preceduto – ormai avviato verso la sua conclusione. Non ci sarà un nuovo “miracolo economico”, il progresso ormai ha svelato definitivamente la sua seconda faccia di morte, distruzione, alienazione, e la supremazia tecnologica non finirà di richiedere il suo tributo di posti di lavoro, sangue e licenziamenti per avanzare. Ma dentro a questo mondo ci sono ancora persone, storie da vivere e da raccontare, imprese da compiere e strade da seguire, di cui ancora ignori l’esistenza.

La strada che ti ha portato fino a qui, a questo binario morto della tua vita, è stata lunga, complessa, fortunosa, e ha richiesto una bella dose di coraggio per poter essere seguita fino in fondo. E’ la strada della maturità. C’è chi diventa adulto senza troppe pretese, per inerzia quasi, perché la mamma gli compra l’appartamento in città per levarselo dai coglioni, e chi fin da piccolo non ha avuto in mente che una cosa, crescere, e, ora che c’è riuscito, ha paura di quello che potrebbe scatenare la sua forza. Di quanto lontano potrebbe arrivare se spingesse fino in fondo la sua intelligenza. Delle occasioni, impreviste, inattese, talvolta spaventosamente difficili da discernere, che gli potrebbero capitare. Di come reagiranno “gli altri”, quando vedranno il risultato della metamorfosi. Di come potrebbero stupirsi, vedendo un uomo e una donna dove prima c’erano solo dei mocciosi imbelli, che credevano a tutto quello che veniva detto loro.

Buona fortuna, e se puoi aiutarmi a diffondere questa lettera forse aiuteremo qualche persona in più a diventare grande.

jacopo franchi

Autore

Jacopo Franchi

Mi chiamo Jacopo Franchi, sono nato nel 1987, vivo a Milano, lavoro come social media manager, sono autore del sito che state visitando in questo momento e di tre libri sui social media, la moderazione di contenuti online e gli oggetti digitali.

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