L’Europa unita è forse il sogno più grande a cui la mia generazione può aspirare. Per raggiungerlo, c’è bisogno di un giornale europeo, libero, digitale, multilingue e capace di comunicare al maggior numero possibile di lettori e cittadini. Qualche idea da condividere con chi potrebbe dare il suo contributo.
Se si può ancora parlare di ideali e di sogni per la mia generazione, quella dei venti-trentenni, questi sono da ricercarsi in quel soggetto politico, economico e culturale che prende il nome di Unione Europea. Parlo di sogni e ideali perché, sebbene questa “Unione” esista già nella realtà e nella mentalità comune, nondimeno la sua realizzazione resta tutt’ora una chimera. Frutto dell’iniziativa di pochi e brillanti pensatori e uomini di governo – troppo pochi, e appartenenti ormai a un passato da cui non torneranno più – l’Unione Europea come la conosciamo oggi non è un soggetto totalmente democratico, le elezioni europee previste per il 2014 non daranno ai cittadini la possibilità di scegliere direttamente la governance dell’Unione, mentre la cosiddetta “generazione Erasmus” è ridotta a numeri irrisori, ben lontani dalle speranze dei suoi capostipiti.
Si profetizza, da anni, la fine – anche tra quelle classi medio-alte che ne avevano salutato l’origine – della speranza nella creazione di un soggetto politico e culturale diverso e profondamente rivoluzionario per la storia dell’uomo. Nell’Unione Europea di oggi prevalgono logiche economiche e finanziarie che hanno assicurato, per un certo periodo, la prosperità di alcuni degli Stati membri, mentre rimangono continuamente in secondo piano le mission culturali e la definizione dello scopo politico dell’Unione.
Secondo me, tra le cause di questo disamore contemporaneo verso uno dei progetti più grandiosi della Storia – l’Unione di un continente che ha vissuto fino al 1945 solo guerre, genocidi e divisioni – vi è la mancanza di una stampa libera e di respiro europeo. Se negli anni alcuni progetti di pregevole fattura sono nati – e io stesso ho partecipato, in qualità di Web Editor temporeaneo, a uno di essi, Cafebabel – essi sono tuttavia rimasti vincolati o al carattere volontario e gratuito delle loro pubblicazioni, o alla loro dipendenza da fondi pubblici europei (e la fine di Press Europe, in questo senso, dovrebbe far riflettere molti sulla loro effettiva indipendenza).
La creazione di un giornale europeo interamente online presenta diverse difficoltà, da affrontare se si vuole realizzare un progetto in grado di sopravvivere alle prime fasi. Tra le difficoltà, qui enumerate in maniera sommaria e per forza di cose incompleta, il problema della lingua (la struttura di un articolo giornalistico per il web può subire pericolose modifiche durante la traduzione), dell’adattamento dei contenuti a un pubblico diversamente informato e acculturato, il digital divide tra le popolazioni del continente (elemento che potrebbe portare a privilegiare le notizie dei Paesi dove ci sono più utenti di Internet e lettori di giornali, ad esempio quelli scandinavi) la costruzione di una rete di corrispondenti su un territorio continentale e la loro coordinazione (per non parlare delle retribuzioni, che variano di Paese in Paese), la ricerca di fonti al di fuori dei canali di comunicazione ufficiali (da tempo Bruxelles non è più la sede delle decisioni), la necessità di attrarre fin da subito un numero consistente di lettori (e quindi armonizzare il contenuto più leggero con quello più giornalisticamente rilevante).
Le potenzialità di un quotidiano europeo sono, tuttavia, ben più grandi delle difficoltà. La traduzione di ogni notizia locale nel suo corrispondente inglese, francese, spagnolo e cinese (le lingue più lette al mondo) espanderebbe il pubblico potenziale a livello globale. La possibilità di diventare un punto di collegamento tra gli asfittici mercati nazionali dell’informazione online e il resto d’Europa – tramite partnership e scambi di visibilità – consentirebbe al nuovo media europeo di porsi al di sopra della stampa nazionale e delle sue logiche di partito. E, quindi, di guadagnare fin da subito in autorevolezza, elemento tanto importante quanto poco analizzato nelle vision e nei progetti editoriali dei nuovi media online.
Il collegamento con la galassia delle associazioni filoeuropee garantirebbe al quotidiano, di riflesso, quella visibilità che esse sono riuscite ad ottenere nel corso di lunghi anni di sforzi. Una sezione più “leggera” – ma non per questo meno rilevante – dedicata ai contenuti virali e ai buzz dei singoli paesi permetterebbe di attrarre il pubblico meno interessato alle questioni continentali, più “serie” se vogliamo, e coinvolgerlo nel progetto comune. Le modalità di diffusione del “virale” consentono – a quei media transnazionali come l’Huffington Post – di intercettare le notizie e i buzz e sfruttare appieno la loro capacità attrattiva, dalla genesi in un determinato Paese e area linguistica, in tutte le possibili traduzioni e articolazioni nel resto della Rete.
I nuovi pionieri della stampa online occuperebbero uno spazio e un’autorevolezza difficilmente contrastabili da un progetto analogo. Sul web chi arriva prima guadagna un vantaggio, in termini di posizionamento nei motori di ricerca e di autorevolezza difficilmente espugnabile. Se i giornali online nazionali si battono fin dalla loro nascita con la logica dei numeri e delle cifre, è anche perché il loro raggio d’azione è troppo limitato, rispetto a quello permesso dal web. Internet – ancor più dei programmi comunitari e dei discorsi dei Padri fondatori – espande gli orizzonti dei lettori, rivoluziona le linee editoriali dei quotidiani, pone in secondo piano le beghe di Palazzo e i fini extra-editoriali di un articolo, e costringe i giornalisti a ragionare per cyberspazi, non più per aree linguistiche o culturali.
Lo spazio della Rete non è lo stesso di quello delle regioni e degli Stati politici, e solo un media di profilo (almeno) continentale può saziare il bisogno di news, informazioni, aggiornamenti e stimoli richiesti da una popolazione internazionale de facto (per lavoro, per istruzione, per necessità di comprendere i cambiamenti in atto, per noia verso la situazione di immobilismo del proprio Paese) e italiana solo di nome.
La conclusione, che può sembrare paradossale, è che mai come in questi anni si avverte il bisogno di un giornale europeo che parli davvero ai cittadini dell’Europa unita, e non solo alle sue élite. Se manca un’opinione pubblica europea, e se la maggior parte dei cittadini dell’Unione è ancora legata a una prospettiva nazionalistica quando non provinciale, nondimeno la globalizzazione in atto, lo spostamento dei capitali e la necessità di prender contatto con culture diverse dalla nostra spingono anche i popoli più “euroscettici” a guardare al di là dei loro confini nazionali, in cerca di una nuova patria (l’Unione politica?) dove poter trovare quegli strumenti e ricchezze di cui il loro Paese non è più generoso dispensatore.
Cavalcando l’onda della protesta antieuropea, quella di chi non accetta di essere governato da una Commissione non eletta democraticamente, prendendo le distanze da quello che l’UE è diventata e sostenendo l’emergere di punti di vista, idee e movimenti alternativi e sinceramente democratici, dando il giusto spazio agli argomenti leggeri e ai buzz che sono elementi cardine della Rete e fonte di traffico imprescindibile, il progetto di un Giornale Europeo può uscire dai confini incerti del sogno di un pugno di giornalisti e diventare la sfida più importante del giornalismo contemporaneo e digitale, diventando al tempo stesso ispirazione, fonte e aggregatore di notizie generate da un’unione inedita di popoli e culture.
Jacopo Franchi