Il giornalismo in Italia sta vivendo in questo periodo una fase cruciale della sua storia. Stretto tra la crisi, economica ma soprattutto identitaria, dei giornali cartacei, e l’esplosiva vitalità dell’informazione online, non ha ancora trovato i mezzi (l’oro) necessari al suo sostentamento e al salto di qualità chiesto a gran voce dai lettori. Analisi.
Il giornalismo non è mai stato così in forma come in questi anni. Il giornalismo non è mai stato vicino alla morte come in questi anni. Le due frasi sono solo in apparenza contraddittorie: se da un lato assistiamo ogni giorno alla nascita di nuovi magazine online, blog d’informazione, e un Edward Snowden può, con l’aiuto della Rete, costringere l’amministrazione americana a riconsiderare il suo illegale sistema di spionaggio, dall’altro lato la perdurante incapacità degli editori – puri e impuri – di assicurare la sopravvivenza economica dei loro quotidiani online, e di liberarli dalla logica stringente della moltiplicazione logaritmica dei click, costringe i giornalisti a un lavoro sempre meno accurato, superficiale, e a vivere con una pistola (quella del licenziamento) puntata sul capo.
Se da un lato abbiamo giornalisti (pochi, per fortuna) che rifiutano pervicacemente di aggiornarsi e imparare le nuove logiche della Rete – una Rete che costringe la scrittura stessa ad adattarsi al mezzo che la diffonde, per lasciare spazio ai link, ai rimandi interni per valorizzare l’archivio di informazioni del giornale, alle foto, ai video, alle infografiche, che necessitano sempre di un testo per “richiamare” l’attenzione del lettore e costringerlo a fare “click”, per non parlare della necessità di una scrittura che faciliti l’individuazione degli articoli da parte dei motori di ricerca – dall’altro lato ci sono editori, spesso impuri, convinti che con la Rete si possa “risparmiare”. O che la Rete debba essere un semplice prolungamento del giornale di carta: e quindi via a redazioni scarne, stagisti al lavoro 12 ore su 24 per “copiare” le notizie dalle agenzie stampa, e a siti che di informativo hanno ben poco.
L’età della pietra del giornalismo online non ha, per naturale proseguimento, un’età dell’oro. Perché i soldi, quando ci sono, sono spesi male, per comprare CMS proprietari che nulla hanno di più di quello offerto gratuitamente da WordPress; perché la concorrenza è spietata, e per arrivare “primi” sulle notizie che contano, per offrire un servizio di qualità su Internet – qualità anche negli argomenti leggeri, che siano buzz, fenomeni virali, dissing sui social network – sono necessari molti più occhi che in passato; soldi spesi per mantenere strutture redazionali complesse, capi capetti e vice capi, e giornalisti “iscritti all’Ordine” e pagati a peso d’oro senza che questi sappiano distinguere il valore di un link interno da uno esterno. Per non parlare dei social: utilizzati, spesso, come una “vetrina”, come un raccoglitore di stupidaggini e meme, ignorando che su Twitter si possono fare ricerche geolocalizzate, e che il tempo speso per assicurare il successo di una pagina Facebook non è minore a quello necessario per il mantenimento di una qualunque attività commerciale.
Infine, gli editori online spesso non sanno nemmeno sfruttare e valorizzare a loro profitto quelle immense risorse “gratuite” che la Rete mette loro disposizione. Ad esempio, persiste tutt’ora la riprovevole abitudine di abusare del lavoro gratuito dei blogger, come complemento “opinionistico” dei giornali online – come se non ci fossero abbastanza “opinionisti” sui giornali nostrani – senza pagarli, ignorando il potenziale di diffusione dei blog, la loro capacità di rendere “virali” molti contenuti, e in definitiva la loro maggiore autorevolezza, se confrontata con quella di un qualunque quotidiano che ospiti al suo interno contenuti tra loro contradditori (le famose colonnine di destra, così visivamente in contrasto con gli argomenti più “seri” del resto del magazine).
Fino a quando i ricavi da un giornale online saranno direttamente proporzionali al numero dei “click” e dei lettori unici che ogni mese, ripetutamente, si connettono al sito, l’unica possibilità di sopravvivenza sarà, per gli editori, la capacità di reclutare e far crescere professionalmente nelle loro redazioni un numero sufficiente di giornalisti capaci di assimilare le logiche della Rete, di comunicare efficacemente il risultato del loro lavoro ai lettori, di scrivere per la Rete e pensando “ossessivamente” alla Rete (e quindi basta, basta con quegli articoli senza link, senza caratteri speciali, senza possibilità di interazione con il lettore, non aggiornati, poveri di informazione, senza alcun rapporto con l’ecosistema digitale che li circonda). Insieme a loro, è necessario reclutare un team di social media manager capaci non solo di gestire e far crescere le pagine social dei quotidiani, ma anche di stabilire un contatto proficuo e di scambio con pagine Facebook, blogger e centri di diffusione online dei contenuti, in modo da spingere al massimo la diffusione degli articoli, dei reportage, delle inchieste, e stabilire un rapporto a doppio senso con i lettori, soprattutto i più giovani, andando a incontrarli direttamente nei luoghi (i social, i forum, le live chat) dove essi cercano le notizie.
Grazie a queste basi, più solide, adatte per sopravvivere ed espandersi in una Rete tanto ricca di opportunità quanto spietata nel relegare chiunque non sappia aggiornarsi all’oblio, i giornali online potranno assicurarsi quella indipendenza e quel distacco critico dall’informazione tanto più necessario per i lettori, che sulla Rete ricercano sì lo svago e l’intrattenimento gratuito dei contenuti più “leggeri”, ma anche quelle voci critiche, non allineate e capaci di interazione con loro che nella realtà materiale della televisione, dei giornali di carta che nascono vecchi nel mattino stesso della loro pubblicazione, non riescono più a trovare. Il giornalismo è morto, viva il giornalismo!