Ci stanno riuscendo, a far passare il messaggio che studiare non serve a nulla, se non hai un lavoro sicuro dopo. E che la cultura, la passione, la conoscenza delle cose del mondo debbano essere sottoposte al tariffario del “mercato del lavoro“.
A nulla valgono esempi di biografie illustri, storie di successo, talenti appena scoperti: per chi non diventa ingegnere aereospaziale o medico, i cinque anni di università sono una spesa su cui si può risparmiare. E tanti saluti al resto del mondo civilizzato, che ha una percentuale di laureati di dieci punti superiore alla nostra e rinuncerebbe a mezzo Pil per avere un Rinascimento dietro casa.
Il tema è venuto fuori durante una conversazione tra amici. Qualcuno, nel mezzo, sosteneva che le lauree che non danno la certezza di un impiego sono un “pericolo” da togliere di mezzo. Che inseguire i propri sogni è reato. E chi si laurea in lingue, letteratura o antropologia e poi non trova lavoro non ha alcun diritto di lamentarsi. Perché il “mercato” non chiede quello. A detta di questa persona – che qui “uso” solo per esprimere la mia opinione – la nostra avanzata civiltà deve il proprio benessere alla scienza e alla tecnologia, e tutto ciò che non produce ricchezza deve essere tagliato, in tempi di crisi, recessione, speculazione.
Ora, di fronte a questo genere di argomentazioni si potrebbe o farsi una risata, oppure dire molto modestamente che le tecnologie hanno bisogno di cervelli in grado di usarle. E che l’unione fra umanesimo e tecnica è stata la grande rivoluzione del mondo occidentale. Ma vorrei spingermi più a fondo nella riflessione.
Posso essere d’accordo, con chi parla di lauree “inutili”; quando si citano determinati corsi di laurea che sembrano la fotocopia l’uno dell’altro. O i cui titoli non hanno nulla a che fare con le materie che poi vengono davvero affrontate.
Ma esiste davvero qualcosa come il mercato del lavoro? O non è forse una formula inventata ad hoc per semplificare quello che è troppo complesso? Ogni volta che qualcuno parla di “mercati” sento puzza di bruciato: no, non sto parlando del mercato sottocasa.
A livello mediatico è in atto una personificazione di entità astratte – i mercati, le borse – che ha come unica soluzione la confusione e la disinformazione. Perché il lavoro non è una merce in vendita come qualsiasi altra.
Le persone non si riducono al loro curriculum. A meno che nella loro vita non abbiano fatto altro che studiare fino a 24 anni. Da neofita del mondo del lavoro, mi sono reso conto che il bagaglio di esperienze e di conoscenze che ciascuno di noi porta con sé diventa utile nei momenti più impensabili.
Al di fuori di alcune professioni super-specialistiche, una società di servizi come la nostra è l’ambiente ideale per chiunque abbia una mentalità appena un po’ più ricettiva della media, creatività, curiosità, voglia di impegnarsi a fondo in un progetto e capacità di fare rete attorno a sé.
Abilità che non insegnano durante una lezione frontale, ma che l’abitudine con i libri e i discorsi narrativi complessi aiutano a sviluppare.
Il lavoro c’è, eccome, ed è abbastanza per tutti. Servono laureati in lingue per mettere in comunicazione questo Paese vecchio e arretrato con il resto del mondo. Servono filologi per decodificare i messaggi e le propagande populiste. Letterati, per espandere la cerchia dei lettori oltre quel miserissimo 45% con dei nuovi capolavori. Servono restauratori per conservare almeno un centesimo dell’immenso patrimonio culturale che attira turisti da tutto il mondo (o davvero credete che facciano migliaia di chilometri solo per mangiare la pizza da Er Magnaccia?). Filosofi, per andare al di là della chiacchiera da bar nei dibattiti elettorali. Storici, perché tragedie come quella di Ustica non si risolvano con una condanna arrivata con 32 anni di ritardo, ma rimangano impresse nella memoria collettiva per l’intero millennio. Laureati in scienze politiche, perché se vince di nuovo il signore di Arcore questa democrazia sarà a un passo dalla fine.
Di questi lavori in Italia c’è un bisogno disperato e urgentissimo. E, infatti, i laureati lavorano dal mattino alla sera, spesso in ruoli di responsabilità tali da far tremare i polsi. L’unico problema è che sul mercato del lavoro non si trova nessun acquirente disposto a pagarli. Ma questa è un’altra storia…
Foto di copertina: (cc) janine/flickr.
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