La prima canzone non si dimentica mai. Per me è stata “Ciao“. O “L’anno che verrà“, non mi ricordo più. Tanto sono vicine nella memoria, nello spazio della stessa sera, che non posso esserne certo. Mi ricordo una sera di Natale, e le luci dell’autoradio del Peugeot che sembrano seguire la musica di “Ciao”. Fuori dai finestrini, la città di Lugagnano che brilla “come un presepio“, e “le luci del tramonto” (a quell’ora?) che “facevano più bello il mondo“. Negli anni successivi, ho imparato a conoscere anche i “mezzi giornalisti” e gli altri “tipi misti“.
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Stessa sera, solo qualche chilometro un po’ più in là. Una tavolata di parenti, volti noti e altri che si perdono nella nebbia. Mi vedo cantare “L’anno che verrà”, di fronte a tutti. Avevo si e no sei anni, era il 1994. Anche allora solo un flusso di parole. Alcune prive di significato, altre già accostabili a un frammento di realtà. Come la “luce“, il “Natale” che torna tre volte, gli “uccelli” di ritorno, il “mangiare“. L’amore no, non lo conoscevo ancora.
Come le migliori opere artistiche, anche le canzoni di Lucio Dalla acquistano significato man mano che gli anni passano. E mai come ora questa canzone mi sembra adatta ai tempi in cui vivo. Con la differenza che non crediamo più a tutto quello che dice la televisione – per fortuna c’è Internet che qualche volta la smentisce – ma a qualche strano personaggio venuto dal passato che ci promette soluzioni facili e veloci per uscire dalle crisi. E che si arrabbia quando non lo fanno parlare in televisione. Oddio, non sarà che anche allora…
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Foto di copertina: (cc) Ilfattoquotidiano/flickr