Se i social media sono diventati le piazze del XXI secolo, dove le persone vivono, si informano, dibattono, fanno acquisti, cercano lavoro o un nuovo partner, ha ancora senso lasciare che siano delle aziende private a detenerne l’esclusivo controllo? Se lo chiedono in molti, da anni, e se lo sta chiedendo anche la politica, soprattutto quella di matrice europea dopo la seconda, temutissima vittoria di Donald Trump alle elezioni politiche statunitensi.
Robert Habeck, vicecancelliere tedesco: “il dibattito nelle democrazie dipende dalle regole stabilite Musk”
Se lo è chiesto, ultimo in ordine di tempo ma rilevante per il ruolo politico che ricopre e il Paese d’origine, il vicecancelliere tedesco Robert Habeck. Il video dell’intervento a Neuhardenberg in cui ha sollevato il tema della regolamentazione pubblica degli algoritmi – nello specifico, quelli di X e TikTok – ha raggiunto in pochi giorni oltre due milioni di visualizzazioni su X, soprattutto dopo aver ricevuto il commento, stizzito, di Elon Musk: “non resterà al governo ancora a lungo” ha scritto il proprietario “di casa”.
“Noi non possiamo lasciare che il dibattito nelle democrazie possa dipendere dal volere di Elon Musk o di software di proprietà cinese“: queste sono state le parole di Habeck che hanno suscitato la reazione di Musk, riproponendo un desiderio carsico di controllo pubblico dei social media e dei loro algoritmi. Una proposta che ritorna, ciclicamente, soprattutto dopo che diventa manifesto l’utilizzo dei social media per influenzare l’opinione pubblica, approfittando delle opacità e della scarsissima trasparenza sul funzionamento dei loro algoritmi (come rilevato, nel caso di X, da una recente ricerca del Center for Countering Digital Hate).
Come dovrebbe essere un algoritmo “migliore” per i social? Nessuno se lo domanda, ma nel frattempo c’è chi sperimenta la personalizzazione dei feed
In un’Unione Europea dove gli “Act” (AI Act, Data Act, Digital Markets Act, Digital Services Act) si susseguono ormai a cadenza regolare, non deve sorprendere il fatto che non abbia mai visto la luce un “Alghoritm Act” per regolamentare gli algoritmi di profilazione che svolgono un ruolo determinante nel modo in cui le informazioni si diffondono sui social media. Un conto, infatti, è chiedere alle aziende tech di apportare correzioni per prevenire le ricadute più evidenti (ad esempio, la continua riproposizione di contenuti di istigazione al suicido nei confronti degli adolescenti: vero, TikTok?), un altro è assumersi la responsabilità di definire per legge l’esatto funzionamento degli algoritmi stessi.
Ben al di sotto dei radar della politica e dei dibattiti internazionali, a una scala inferiore rispetto alle dimensioni raggiunte dai grandi colossi di questo settore, operano, tuttavia, social media come Bluesky che stanno provando a introdurre qualche elemento di novità in un settore da tempo arroccato in difesa delle posizioni di potere conquistate. Tra le impostazioni del social BlueSky, ad esempio, è presente una sezione – tradotta malamente in italiano con “preferenze del following feed” – dove è possibile personalizzare in parte il proprio flusso di notizie, ad esempio nascondendo le condivisioni di post altri utenti, le conversazioni tra questi ultimi, i post con citazioni. Altre opzioni consentono di impedire la riproduzione automatica dei player di YouTube, di Vimeo, di altri siti esterni che potrebbero raccogliere dati sugli utenti, ed è possibile perfino silenziare i post contenenti determinate parole e tag.
Dagli algoritmi di profilazione agli algoritmi personalizzabili a piacere, per restituire potere alle persone sul funzionamento spazi pubblici digitali
Constatata l’enorme difficoltà – ma forse sarebbe più corretto dire l’impossibilità – di creare algoritmi che possano rispondere agli interessi e preferenze di tutti gli utenti, l’esperienza di BlueSky è interessante nella misura in cui lascia vedere come si potrebbero introdurre opzioni e funzionalità in grado di limitare lo strapotere degli algoritmi “universali”. In questo scenario, un algoritmo personalizzabile secondo regole stabilite per legge potrebbe consentire agli utenti di modificare la composizione dei format nel feed (aumentando fino al 100% la presenza di post con link esterni di approfondimento), cambiare a piacere la data di scadenza dei contenuti (al fine di vedere post più vecchi di qualche giorno o addirittura settimane), incrementare la presenza di contenuti provenienti da account già seguiti in luogo di quelli suggeriti dall’algoritmo stesso, e “resettare” completamente le categorie di profilazione (come sembra intenzionato a fare Instagram, dopo essere stato fortemente criticato per le conseguenze del proprio algoritmo sulla salute mentale degli adolescenti).
L’obiettivo di un intervento pubblico sugli algoritmi dovrebbe essere quello di introdurre delle forme di controbilanciamento al potere assoluto di dare e togliere visibilità a chiunque e in ogni momento, esercitato oggi dai proprietari privati dei social
Si potrebbe obiettare che tutte queste funzionalità siano già state introdotte in passato dagli stessi social, per fornire agli utenti maggiori possibilità di personalizzare i propri flussi di notizie. Non si tratterebbe, quindi, di realizzare nulla di radicalmente nuovo (ad eccezione, forse, della possibilità di variare i format dei contenuti, bilanciando formati “nativi” a link esterni). Ma è proprio perché queste funzionalità sono già state introdotte in passato che possiamo avere la certezza della loro realizzabilità tecnica e che possiamo disporre di una base dati di partenza per valutarne il possibile impatto sul benessere delle persone e la loro possibilità di avere accesso a contenuti e informazioni più varie possibili.
L’obiettivo di un intervento pubblico sui social media e i loro algoritmi non dovrebbe essere, infatti, quello di stabilire per legge come questi ultimi dovrebbero operare, bensì introdurre delle forme di controbilanciamento a un potere assoluto che ancora oggi governa la maggior parte degli spazi digitali in cui le persone si incontrano, si informano e dialogano tra di loro. Se i social media sono destinati a essere rimanere privati ancora a lungo, in mancanza di una credibile alternativa “pubblica”, la rilevanza che hanno assunto nelle democrazie odierne non giustifica la loro pretesa di poter mantenere il controllo esclusivo su algoritmi che possono cambiare il corso di una carriera, di un’elezione, di una legge che potrebbe riguardarli.