Una nuova newsletter è arrivata in città: si intitola “Oggetti Digitali” e raccoglierà al suo interno una serie di approfondimenti sui principali temi affrontati nel mio nuovo libro, “L’uomo senza proprietà” (Egea, 2024), per condividere ulteriori spunti di riflessione con i lettori del libro e le persone interessate alla proprietà delle “cose” di uso quotidiano nell’era della digitalizzazione di massa. L’iscrizione è, ovviamente, gratuita, e questo non è l’unico vantaggio per i lettori.
In un mondo dove la maggior parte delle attività online vengono costantemente tracciate, talvolta anche da coloro che si professano difensori integerrimi di un diritto “assoluto” alla privacy (salvo poi inserire pixel di tracciamento sui propri siti web e servirsi di fornitori di servizi digitali di dubbia trasparenza e compliance), ho deciso di andare controcorrente e di dotarmi di uno spazio digitale privo di forme di sorveglianza invasive. Per questo mi sono messo alla ricerca di un servizio di newsletter che corrispondesse ad almeno due prerequisiti: la possibilità di disabilitare i pixel di tracciamento e di conservare le mail degli iscritti in un Paese dell’Unione Europea, dove è in vigore il GDPR.
Nel raggiungere questo risultato – apparentemente banale, ma in realtà molto più complicato del previsto – sono stati determinanti i consigli ricevuti dal sito e forum del blog “Le alternative“, il cui ideatore ho avuto l’opportunità di conoscere e intervistare proprio in occasione della pubblicazione del nuovo libro. Grazie a “Le alternative” ho potuto convincermi dell’inadeguatezza di molti servizi esistenti, come Substack, in ragione delle politiche di trattamento e conservazione dei dati personali. Substack, in particolare, pur essendo tra i servizi di newsletter più utilizzati da giornalisti, opinionisti ed esperti di digitale e nuove tecnologie, non offre la possibilità di disabilitare il pixel di tracciamento, con la conseguenza di costringere gli utenti a una continua condivisione di dati sulle proprie abitudini di lettura e interesse personale anche su argomenti politici e sociali molto sensibili. Per di più, inviando i dati in server localizzati negli USA e quindi al di fuori dello spazio europeo.
Dopo alcuni tentativi e passaggi a vuoto è stato un consiglio ricevuto da un anonimo utente sul forum de “Le Alternative” a mettermi sulla strada giusta per scegliere Ghost, di cui avevo già sentito parlare alcuni mesi orsono in occasione della sua adozione da parte del celebre giornalista Casey Newton. Autore di Platformer, newsletter a pagamento che ad oggi vanta quasi 300 mila iscritti, Newton ha deciso di trasferire su Ghost la propria pubblicazione in polemica con il mancato intervento di rimozione di autori e contenuti neo-nazisti da parte di Substack, dove era diventato uno degli autori più popolari. La scelta di Ghost, per Newton, non è stata tuttavia motivata da ragioni legate alla privacy, al contrario del mio caso.
Rispetto a Substack e ad altri servizi più diffusi, Ghost offre un servizio di newsletter a pagamento che consente di disabilitare tutti le principali modalità di tracciamento degli utenti, quali le aperture delle mail e i clic sui link presenti all’interno di esse. Grazie a questa possibilità, relativamente semplice da un punto di vista tecnico ma non così diffusa come ci si aspetterebbe, io non so nulla del comportamento delle persone iscritte a “Oggetti Digitali” e queste ultime possono fare quello che vogliono quando ricevono la newsletter, nella serena consapevolezza che nessuno verrà mai a saperlo. Inoltre, tutti i dati che le persone condividono con me al momento dell’iscrizione sono conservati in server localizzati in UE, e più precisamente ad Amsterdam, in Olanda. Chi ha letto il libro sa quanto io sia sensibile al tema della perdita di controllo sui dati personali derivante dalla loro dispersione in server dislocati anche a grande distanza dal luogo in cui vive il loro proprietario, e quanto sia convinto della necessità di promuovere il diritto a una maggiore “sovranità” digitale.
Non sarei sincero se dicessi che la scelta di puntare su un servizio così poco conosciuto, almeno in Italia, privo del pubblico e delle modalità di raccomandazione profilata di servizi come Substack non rischi di sfavorire la visibilità della newsletter stessa al di fuori della cerchia di lettori del libro (e di chi ho l’opportunità di conoscere durante gli eventi di promozione dello stesso). Eppure, sono convinto del fatto che non si possa oggi fare informazione ed educazione sui temi del digitale e della sorveglianza tecnologica di massa servendosi solamente di quegli stessi strumenti che la rendono possibile, senza provare almeno in parte a sfuggire a questa condizione di perenne trasparenza di ogni nostro gesto o parola scritta. “Oggetti Digitali”, nel suo piccolo, vuole essere uno spazio sicuro, dove leggere articoli ed editoriali in pieno anonimato, e dove l’autore può concentrarsi unicamente sulla qualità della scrittura e dei contenuti anziché sulle “performance” dei lettori. Vorrei poter fare lo stesso anche sui social, ma sono sicuro che qualche “alternativa” privacy-friendly prima o poi arriverà anche in questo settore (senza essere per forza la brutta copia degli originali).
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