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App e pagamenti alternativi: l’Open App Markets Act visto dall’Europa

Mentre in Europa le istituzioni si limitano a regolamentare i singoli aspetti delle attività di moderazione da parte delle piattaforme digitali, ma senza cambiarne l’impostazione di fondo, negli Stati Uniti l’Open App Markets Act è un esempio di come il futuro dell’economia digitale possa andare incontro a una più netta limitazione dei poteri di policy e censura, a cominciare dagli store e dalle restrizioni riguardanti le modalità di pagamento di terze parti.

Chi gestisce un app store con più di 50 milioni di utenti non potrà mai più impedire agli sviluppatori di una app di utilizzare sistemi di pagamento alternativi propri o di terze parti, né promuovere l’esistenza di questi ultimi direttamente agli utenti, né offrire prezzi diversi a seconda degli store, né tantomeno potrà adottare delle misure punitive nei confronti di quegli sviluppatori rei di averlo fatto: visti dall’Europa questi aspetti cruciali del disegno di legge noto come “Open App Markets Act”, da poco approvato dalla Commissione Giustizia del Senato americano (e liberamente consultabile online), rappresentano un esempio da cui prendere spunto in termini di chiarezza e incisività della proposta, rispetto ai balbettii e piccoli compromessi raggiunti a fatica negli ultimi mesi dall’altra parte dell’Atlantico su analoghi settori di intervento delle grandi piattaforme digitali.

L’intestazione del documento originale dell’Open App Markets Act (screenshot del 19/2/2022)

Le commissioni per gli sviluppatori sui principali app store possono arrivare fino al 30% del totale

Per lo più ignorate dai normali utenti, le regole di pubblicazione delle app su App Store e Play Store prevedono infatti dei limiti molto stringenti su un aspetto cruciale dell’economia digitale: i processi di pagamento di beni e servizi digitali sono tuttora vincolati al sistema di pagamento in-app dei proprietari degli store, e a una commissione che può variare dal 15% al 30% su ogni transazione effettuata dall’utente. Inoltre, i proprietari degli store hanno per lungo tempo impedito agli sviluppatori di comunicare anche solo l’esistenza di metodi di pagamento alternativi rispetto a quello proprietario, o di inserire un link verso questi ultimi: non a caso, molte app più o meno popolari (ad esempio, Netflix) consentono agli utenti di acquistare, rinnovare o bloccare gli abbonamenti unicamente sul proprio sito web, proprio per non subire le penalizzazioni derivanti dalle regole imposte dai proprietari degli store.

Un passo avanti rispetto agli esempi di Corea del Sud e Olanda, dove la commissione è rimasta elevata

L’Open App Markets Act, ovviamente, non si riduce solo all’aspetto dei pagamenti alternativi, ma su questo fronte segna un importante passo avanti rispetto ai timidi tentativi compiuti da governi e autorità nazionali in tutto il mondo di contrastare il monopolio assoluto di Apple e Google sui rispettivi store. Dopo la Corea del Sud, che ha obbligato le due aziende americane ad accettare metodi di pagamento alternativi, l’Autorità Olandese per la concorrenza e il mercato ha raggiunto un risultato simile ma solo per quanto riguarda le app di dating: risultato che, tuttavia, non ha impedito ad Apple di applicare una esorbitante commissione del 27% e obblighi di reportistica mensile sulle transazioni effettuate proprio con strumenti di pagamento di terze parti, vanificando quasi del tutto i vantaggi dell’iniziativa dell’Autorità in termini di risparmio e possibilità di scelta per consumatori e sviluppatori.

Non basta la censura per provocare un cambiamento, se questa non viene messa in atto a livello globale

Il tema all’ordine del giorno non è del tutto nuovo al grande pubblico: nella memoria collettiva forse si trovano ancora tracce dello scontro tra Epic Games e Apple giunto al culmine nel corso del 2020, quando il popolare gioco Fortnite era stato bandito dall’App Store in seguito al tentativo manifesto di introdurre un sistema di pagamento alternativo a quello di Apple. L’Open App Markets Act, il cui calendario legislativo secondo Bloomberg è altrettanto se non più incerto di tante proposte di regolamentazione delle piattaforme digitali di cui abbiamo sentito parlare in questi ultimi mesi, sembra essere agli occhi di molti la naturale conseguenza della visibilità che ha raggiunto quello scontro tra Apple ed Epic Games che per molti giorni aveva dominato i dibattiti di mezzo mondo: malgrado gli esperti siano a conoscenza da anni degli abusi e della censura arbitraria delle app negli store, è stato necessario un esempio su scala globale per favorire la definizione di una legge che potrebbe avere effetti altrettanto globali.

Le differenze con l’approccio di analoghe iniziative europee sul fronte della moderazione di contenuti e servizi, come il Digital Services Act

Visto dall’Europa, negli stessi mesi in cui viene approvato un Digital Services Act tanto pubblicizzato quanto depotenziato nella sostanziale libertà assicurata alle piattaforme digitali di governare internamente e interamente il processo di moderazione di contenuti (salvo aggiungere alcuni, limitati, vincoli operativi e temporali ai singoli interventi), l’Open App Markets Act rappresenta un esempio di sintesi e chiarezza da cui prendere spunto a livello politico ancor prima che legislativo. Anziché dettagliare caso per caso i limiti di intervento delle grandi aziende tecnologiche all’interno dei loro illimitati ecosistemi (limiti che nel caso degli store possono diventare obsoleti nel giro di pochi mesi o essere facilmente aggirabili con nuove tariffe e imposizioni, come dimostra l’esempio olandese), la proposta di legge americana sembra orientata a togliere del tutto a queste ultime qualsiasi potere di moderazione in merito alle modalità di pagamento scelte dai singoli operatori sulle proprio app.

Un monopolio di fatto che potrebbe venir meno grazie a limiti precisi sulle possibilità di moderazione e censura

Una scelta, quella del legislatore americano, che implicitamente riconosce l’esistenza di un un monopolio di fatto nel modo in cui Apple e Google hanno fino ad oggi influenzato le possibilità per nuove aziende e sviluppatori di app di accedere al mercato globale degli utenti, costringendo queste ultime a sottoporsi a una serie di vincoli e a pagare dazio – tramite commissioni sui pagamenti – su ogni transizione effettuata tramite i propri servizi. A differenza dell’Europa, che nel suo Digital Services Act si è limitata a definire tempi e modalità di moderazione più stringenti e trasparenti, l’Open App Markets Act esclude a priori che la moderazione possa avvenire su un aspetto cruciale dei servizi digitali come quello dei pagamenti (salvo, ovviamente, che questo non comporti un pericolo per la sicurezza degli utenti e una serie di altre clausole su cui la portata innovativa della legge, e per certi versi “rivoluzionaria”, potrebbe arenarsi maulauguratamente).

Anziché regolamentare caso per caso i singoli servizi, nella nuova normativa viene stabilito a priori un limite alla concentrazione di potere

La differenza, sostanziale ancor prima che formale, è tutta qui: anziché regolamentare caso per caso i singoli servizi, lasciando aperta la possibilità che le vecchie modalità di abuso possano rinascere sotto altre forme, l’Open App Markets Act inibisce all’origine la possibilità stessa di un intervento di moderazione da parte di coloro che hanno tutto l’interesse a promuovere i propri servizi in luogo di quelli ospitati sulle proprie piattaforme, e i propri sistemi di pagamento in luogo di quelli sviluppati internamente o adottati dagli sviluppatori di app. In questo contesto, è importante sottolineare ancora una volta come la versione definitiva dell'”Act” potrebbe anche non essere quella approvata dalla Commissione del Senato: che la posta in gioco non sia più, tuttavia, quella più di creare leggi su misura per i singoli servizi quanto di limitare il potere accumulato dalle grandi aziende hi-tech sembra essere diventato ormai un dato di fatto. Eccetto, forse, per coloro che si trovano da questa parte dell’Atlantico.

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