Da Douyin a TikTok: primi esperimenti di proibizionismo digitale

Nelle settimane in cui TikTok supera il miliardo di utenti, la versione cinese della app di ByteDance, Douyin, limita drasticamente il tempo di accesso ai minori di 14 anni di età, inaugurando una tendenza che potrebbe guadagnare terreno anche in Occidente dove istituzioni, autorità ed esperti non sembrano in grado di individuare e contrastare le vere cause della “dipendenza” da social da parte di giovani e giovanissimi.

Quaranta minuti al giorno di utilizzo dei social, e solo tra le 06:00 e le 10:00 del mattino: quello che a prima vista sembrano essere le imposizioni di genitori particolarmente severi nei riguardi dei propri figli rappresentano invece le nuove regole di utilizzo di Douyn, la versione cinese di TikTok per tutti gli utenti con meno di 14 anni di età. La decisione, annunciata pochi giorni fa, segue di poche settimane il divieto deciso a livello nazionale di proibire l’accesso ai videogame per tutti i giovani cinesi di età inferiore ai 18 anni, a eccezione del venerdì, del fine settimana e delle vacanze, per un massimo di un’ora al giorno. Stando a queste notizie, in Cina sembra essere cominciata l’era del “proibizionismo” digitale: il consumo di contenuti e servizi online viene limitato per decreto governativo, al momento solo per specifiche fasce di età, con motivazioni di carattere morale che ricordano il divieto di consumare bevande alcooliche introdotto senza successo negli USA dei “ruggenti” Anni Venti del Novecento.

Mentre Douyin viene limitato in Cina, TikTok supera il miliardo di utenti nel resto del mondo e gli utenti di tutte le fasce di età vi dedicano sempre più tempo ogni giorno

Divieti e limitazioni che, al momento, non sembrano mettere in crisi le prospettive di crescita globale di TikTok: nelle stesse settimane delle scelte proibizionistiche delle istituzioni cinesi, la versione internazionale di Douyin ha superato per la prima volta il miliardo di utenti attivi mensilmente e il tempo medio di utilizzo della sua app, scaricata finora oltre tre miliardi di volte, ha superato il tempo medio di utilizzo di YouTube sui dispositivi Android secondo i dati elaborati da App Annie. Se il proibizionismo digitale, per il momento, sembra essere un fenomeno marcatamente cinese, l’eco della sua applicazione potrebbe invogliare più di un regolatore occidentale ad adottare in futuro misure altrettanto drastiche contro la “dipendenza” da social da parte dei giovani, ma senza realmente affrontare e risolvere le cause di un problema che oggi riguarda milioni di bambini e adolescenti in tutto il mondo.

Le aziende tecnologiche occidentali cercano di anticipare il proibizionismo dei legislatori, ma nessuno conosce la reale efficacia dei loro strumenti di “benessere digitale”

La strategia delle aziende tecnologiche occidentali per evitare restrizioni e limitazioni “governative” al proprio utilizzo, soprattutto nelle fasce di età più giovani, sembra essere per il momento quella di anticipare in parte le decisioni dei legislatori: Instagram, dopo la pubblicazione di alcuni report interni in cui venivano dimostrati gli effetti negativi dell’utilizzo del social sul benessere mentale degli adolescenti, ha annunciato questa settimana lo sviluppo di strumenti volti a invogliare i propri utenti a “prendersi una pausa” dal social, sulla falsariga di quanto già sviluppato da piattaforme come YouTube negli ultimi anni e di cui è tuttora ignota la reale diffusione ed efficacia, in assenza di dati disponibili a riguardo. Da notare, inoltre, come la stessa Instagram abbia messo silenziosamente da parte un analogo strumento che avvisava gli utenti quando questi ultimi avevano terminato di vedere “tutti i contenuti” pubblicati dai propri contatti nel flusso di aggiornamenti principale della app, per sostituirlo con un nuovo feed di contenuti e annunci pubblicitari “suggeriti”.

Gli strumenti per la limitazione del tempo su YouTube sono disattivati in partenza e privi di ricerche scientifiche sulla loro efficacia.

In Italia, l’intervento del Garante della Privacy ha consentito a TikTok di identificare l’età degli utenti senza alcun obbligo di rimuovere gli account dei minori di 13 anni

Non sempre, infine, l’intervento di governi e autorità di regolamentazione è in grado di raggiungere i risultati sperati, anche quando questi sembrano muoversi in anticipo rispetto all’inerzia generale. In Italia, infatti, il Garante della Privacy ha obbligato TikTok a identificare e sospendere tutti gli utenti della piattaforma con meno di 13 anni di età: secondo quanto riportato dal Corriere, questa imposizione ha portato alla sospensione degli account di oltre 500 mila utenti, di cui 400 mila “rei confessi” e 140 mila identificati tramite la discutibilissima pratica delle segnalazioni anonime da parte di terzi. In questo modo, tuttavia, TikTok ha potuto acquisire dati più precisi sull’età di oltre mezzo milione di persone senza essere contemporaneamente obbligata a rimuovere gli account dei minori di 13 anni, ma limitandosi solo a sospendere temporaneamente l’accesso a questi ultimi prima del compimento del loro 14° anno di età. Il proibizionismo digitale, infatti, ha come conseguenza quella di consentire alle piattaforme di raccogliere ancora più dati sui propri utenti, senza davvero risolvere all’origine il problema della “dipendenza” da social e posticipando solo di pochi anni o addirittura pochi mesi l’ingresso dei giovanissimi nel mondo digitale (che differenza c’è tra un ragazzo o una ragazza di 13 o 14 anni dal punto di vista dei rischi connessi all’uso precoce e indiscriminato delle piattaforme? Me lo domando anche io).

Più che impedire ai giovani e giovanissimi di accedere alle piattaforme, si potrebbe impedire alle piattaforme di approfittare della debolezza e dell’ignoranza dei propri utenti

La mia proposta, in questo senso, parte dalla constatazione che le misure protezionistiche sembrano essere più uno strumento di propaganda dei governi impegnati a limitare l’influenza politica, sociale e culturale delle grandi aziende tecnologiche globali, che non un vero e proprio intervento in difesa dei minori e dei più deboli di fronte al rischio di abusi. Anziché impedire ai giovani e giovanissimi di accedere ai social o alle piattaforme di videogame come farebbe una coppia di genitori particolarmente severa, ci si potrebbe infatti interrogare sui motivi della “dipendenza” da piattaforme che da oltre dieci anni assorbono quote considerevoli di tempo, dati personali, soldi alle ragazze e ragazzi di tutte le età e di tutti i Paesi. Allo stesso modo, così come anziché impedire loro di andare in motorino – per usare una similitudine più vicina forse al mondo degli adolescenti di qualche anno fa – si insegna a questi ultimi a muoversi correttamente nel traffico e allo stesso tempo si impone ai produttori di motorini di inserire freni, luci di direzione, limiti di velocità e selle idonee prima di immetterli in commercio, si potrebbero pensare forme di educazione digitale e standard univoci e trasparenti di sviluppo, progettazione e aggiornamento comuni a tutti le piattaforme di “movimento” di contenuti di massa.

Come ogni artefatto umano anche le piattaforme sono costruite sulla base di criteri volti a incentivarne l’utilizzo, ma le cui scelte sono oggi totalmente demandate agli esecutori

Perché i bambini e gli adolescenti preferiscono TikTok, Instagram o YouTube alla compagnia dei loro coetanei, anche quando l’utilizzo di questi strumenti si tramuta in disagio psicologico? Analizzare il modo in cui le app sono “costruite”, per quanto possibile dallo stesso punto di vista di un bambino o di un adolescente, consente di identificare una serie di scelte di progettazione che portano gli utenti a trascorrervi molto più tempo del previsto, fino a sviluppare vere e proprie forme di dipendenza da social: dalla mancanza di dati sulle visualizzazioni dei post e dei propri profili all’impossibilità di mettere del tutto “offline” la propria utenza quando si è lontani dal cellulare, dall’assoluta opacità degli aggiornamenti di algoritmo alla presenza di moderatori di contenuti che ripuliscono silenziosamente i “flussi” di aggiornamenti indesiderati, disponiamo ormai di sufficienti conoscenze volte a limitare gli abusi di coloro che progettano queste piattaforme, al momento solo apparentemente minacciate da un proibizionismo che non sembra in grado di risolvere alla radice il problema posto dal loro stesso successo.

jacopo franchi

Autore

Jacopo Franchi

Mi chiamo Jacopo Franchi, sono nato nel 1987, vivo a Milano, lavoro come social media manager, sono autore del sito che state visitando in questo momento e di tre libri sui social media, la moderazione di contenuti online e gli oggetti digitali.

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