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Si alza il sipario sui cinquecento revisori dell’App Store

Sono poco più di cinquecento in tutto il mondo le persone incaricate da Apple di revisionare oltre 100 mila tra nuove app e aggiornamenti settimanali sull’App Store secondo modalità e processi non del tutto trasparenti: un aspetto che solleva ben più di un dubbio sul monopolio esercitato dall’azienda di Cupertino nei confronti di software e sviluppatori.

Sono quelli che, almeno sulla carta, potrebbero eliminare tutte le fake news di Facebook, tutti gli spam di LinkedIn, tutti i contenuti d’odio di Twitter, tutta la pornografia di Instagram, semplicemente impedendo l’accesso alle rispettive app per iPhone: sono i cinquecento moderatori – o revisori – di app che lavorano sull’App Store, secondo quanto riferito dall’azienda stessa in occasione del processo che la vede opposta a Epic Games.

Cinquecento persone, senza storia e senza volto, di cui non si conoscono né le modalità di selezione né quelle di supervisione, dotate tuttavia dell’enorme potere di rimuovere le app presenti, di rifiutare nuovi aggiornamenti e impedire la pubblicazione di nuove applicazioni su uno dei de più importanti store al mondo, seguendo un documento di linee guida in costante e arbitrario aggiornamento.

Cinquecento persone a guardia del recinto di App Store di cui sappiamo ancora troppo poco

Questo è quello che emerge dai documenti allegati alla testimonianza di Trystan Kosmyka, senior director dell’App Review Team di Apple, secondo il quale sarebbero poco più di cinquecento in tutto il mondo le persone incaricate di valutare ogni settimana qualcosa come 100 mila tra nuove app e aggiornamenti di app, respingendo in media circa il 40% di queste ultime in maniera temporanea o definitiva (come è avvenuto di recente nel caso di Fortnite e Parler). Nel dettaglio, a voler prestar fede ai numeri dichiarati da Apple e non verificati né verificabili da nessun ente terzo, sarebbero oltre un milione le app respinte definitivamente nel corso del 2020, di cui 48 mila rimosse a causa della presenza di funzionalità nascoste o non documentate, 150 mila perché classificate come spam o imitazioni di app esistenti, 95 mila rimosse per violazioni fraudolente del funzionamento e 215 mila per violazioni della privacy.

Manca, in questo lungo elenco di “successi”, un elemento fondamentale per chiunque sia interessato a pubblicare una nuova app sullo store o a conoscere le modalità che hanno portato alla approvazione di quelle esistenti: gli esempi e i nomi completi delle app rimosse per spam, funzionalità nascoste, imitazioni non autorizzate, violazioni fraudolente della privacy. Non è possibile, infatti, ricollegare queste migliaia di app censurate ad altrettanti sviluppatori in carne e ossa, ad aziende o team di sviluppo esistenti, a truffe conclamate: come avviene per i tristemente noti “report sulla trasparenza” dei social media, anche per i dati riguardanti il lavoro dei cinquecento guardiani dell’App Store non è possibile rendersi conto di quali siano nel concreto le violazioni che hanno portato a una censura definitiva o anche solo temporanea. Esempi che potrebbero tornare utili, tuttavia, a quel mezzo milione di sviluppatori che si sono visti rimuovere il proprio account da Apple per motivi altrettanto non verificabili.

Chi controlla il controllore e altre somiglianze tra revisori e moderatori di contenuti

Altrettanto oscuro rimane il processo che segue la censura di una app, di un aggiornamento o di un account di uno sviluppatore da parte di Apple: se questi ultimi possono chiedere una ulteriore revisione del proprio caso sottomettendo un appello, nondimeno non è chiaro il modo in cui questo appello venga gestito internamente da Apple né quali siano le conseguenze per i revisori dell’App Store responsabili di errori di valutazione o, peggio, di rimozioni o respingimenti in malafede. Chi controlla il controllore? Ad oggi non è dato saperlo, anche se secondo un’inchiesta di CNBC esisterebbe un vero e proprio comitato di revisione interno costituito da revisori più esperti e incaricati di valutare i casi più difficili e le performance quotidiane dei singoli addetti all’analisi delle app.

La stessa inchiesta di CNBC mette in evidenza numerose somiglianze tra il lavoro dei revisori dell’App Store e quello dei moderatori di contenuti delle piattaforme digitali: come questi ultimi, anche i revisori delle app sono chiamati a ritmi di lavoro massacranti che prevedono fino a 100 app da valutare ogni giorno, come i moderatori anche i revisori sono da sempre sottodimensionati rispetto al carico di lavoro richiesto (con l’obiettivo di evadere almeno il 50% delle revisioni delle nuove app o degli aggiornamenti entro 48 ore dalla loro ricezione) – sebbene entrambi possano contare sull’aiuto di non meglio definiti software di supporto – come i moderatori anche i revisori hanno l’ultima parola su quali applicazioni possono effettivamente essere pubblicate nello Store secondo una propria arbitraria interpretazione delle linee guida di Apple. Come i moderatori, infine, anche i revisori delle app sono esposti alla visione di contenuti traumatizzanti presenti nelle applicazioni che devono analizzare.

L’ultima parola sul destino di una app è quella pronunciata dal revisore

In questo senso, non è esagerato affermare che i revisori dell’App Store si trovino oggi a un livello di potere superiore rispetto a quello dei moderatori di contenuti delle app più utilizzate al mondo, come quelle dei social media. Se questi ultimi possono infatti avere l’ultima parola su una notizia o un’informazione presente sulle piattaforme digitali, i revisori di App Store potrebbero in un colpo solo cancellare la totalità dei contenuti di Facebook, Instagram, LinkedIn, Twitter, YouTube o TikTok dagli iPhone di tutto il mondo qualora decidessero di applicare alla lettera le indicazioni contenute nelle linee guida dello stesso Store, che vietano qualsiasi contenuto “diffamante, discriminatorio nei confronti di razza, orientamento sessuale, origine etnica o nazionale, con l’intento di umiliare, intimidire, danneggiare un individuo o un gruppo di persone“, nonché qualsiasi “rappresentazione realistica di persone o animali uccisi, mutilati, torturati” o materiale “apertamente sessuale o pornografico“, contenuti per la verità da sempre diffusi e ampiamente documentati sui social media più popolari.

Per questo è importante conoscere quali siano, effettivamente, le app, gli aggiornamenti e gli sviluppatori che sono stati censurati dai cinquecento ignoti e temuti revisori dell’App Store: fino a quando quest’ultimo resterà di fatto un monopolio, non soggetto ad alcun requisito di trasparenza nei confronti degli sviluppatori (dal punto di vista dei processi interni di valutazione delle applicazioni), è inevitabile domandarsi in che misura il lavoro dei revisori protegga gli utenti da scam, malaware, truffe e frodi, e in che misura il loro lavoro porti invece a escludere nuove piattaforme e servizi digitali dalla libera competizione di mercato, secondo un preciso disegno strategico o per via di una decisione arbitraria e difficilmente sindacabile. Senza scadere in inutili teorie complottistiche, è importante oggi rendersi che software e contenuti a cui accediamo sui nostri smartphone sono la conseguenza della scelta di un essere umano soggetto all’arbitrio individuale, all’errore quotidiano, agli interessi aziendali: sia esso un anonimo e frustrato moderatore di contenuti, o un anonimo e ben remunerato revisore di applicazioni.

Aggiornamento: secondo un report del Washington Post pubblicato a giugno 2021, tra le 1.000 app più redditizie dell’App Store ci sarebbero almeno 20 app (il 2% del totale) di scam che avrebbero sottratto agli ignari utenti, fiduciosi del processo di selezione di Apple, una cifra pari a circa 48 milioni di dollari.

La postazione di un revisore di App Store secondo i documenti condivisi dall’azienda, con l’immancabile pubblicità inclusa dei propri prodotti.
jacopo franchi

Autore

Jacopo Franchi

Mi chiamo Jacopo Franchi, sono nato nel 1987, vivo a Milano, lavoro come social media manager, sono autore del sito che state visitando in questo momento e di tre libri sui social media, la moderazione di contenuti online e gli oggetti digitali.

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