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Nuovi giornali nascono su Instagram

I loro nomi sono Torcha, Will, KMagazine e Il Punto, e sono giornali che nascono direttamente sul social più in voga del momento tra i giovani: Instagram, con enormi sforzi e aspettative che meritano di essere ripagate dal pubblico dei lettori.

Sono nati da pochi mesi ma sono già seguiti da migliaia di persone su Instagram. La loro redazione è composta da giornalisti ed esperti di settore, di età variabile tra i venti e i quarant’anni. Condividono notizie brevi e lunghe alternando a piacere infografiche accompagnate da didascalie, video in formato “stories” o pubblicati su “Instagram TV”. Puntano forte sul senso di vicinanza al lettore e sulla collaborazione con altri progetti editoriali. I loro nomi sono Torcha, Will, ma anche KMagazine e Il Punto, e sono oggi gli eredi dei primi esperimenti di giornali nativi sui “social” che in Italia hanno conosciuto un primo, significativo successo con il magazine Sapiens e l’ormai ex startup Freeda.

Will, Torcha, Il Punto, KMagazine: ecco quali sono i nuovi giornali di Instagram

Torcha è, tra i tanti, l’ultimo arrivato e uno degli esempi più interessanti di come sia possibile oggi creare un nuovo giornale a partire da un semplice account Instagram. Con oltre 50 mila follower a poco più di due mesi dall’apertura, Torcha nasce da un’intuizione del trentenne Marco Castagna e si presenta come “un progetto editoriale basato sui social media”: le notizie vengono infatti pubblicate direttamente su Instagram in modalità post, video o “stories”, e suddivise in rubriche di attualità focalizzate su temi di interesse politico, economico, culturale e sociale.

La nascita di Torcha segue di pochi mesi l’apertura di un altro giornale Instagram di notizie generaliste, nato dall’incontro tra la divulgatrice e influencer Imen Jane e Alessandro Tommasi: Will, un progetto editoriale che punta a “raccontare il cambiamento valoriale, climatico e sociale con semplicità sulle nuove piattaforme” e che ha raccolto oltre 300 mila follower e un milione di euro di investimenti appena pochi mesi dopo il lancio. La redazione di Will è composta da una decina di persone, tra i 25 e i 30 anni, specializzati in videomaking, grafica, analisi dei dati e produzione di contenuti.

Aggiornamento del 15 giugno: per quanto riguarda Imen Jane, vedere la nota in fondo all’articolo

Se Torcha e Will sono l’esempio più evidente di un giornalismo generalista che prova a reinventarsi nei format e nelle modalità di business, non mancano gli esempi di progetti editoriali nati su Instagram e rivolti a determinate nicchie di mercato. tra questi segnalo con piacere “Il Punto”, che affronta gli argomenti di attualità con un linguaggio dissacrante che ricorda il celebre “Vernacoliere”, e “KMagazine”, nato da un’idea di Vito Maria Grattacaso dell’agenzia LUZ di Roberto Minetto e Alice Siracusano (editore anche del social magazine Sapiens), che porta alla luce i nuovi talenti  del mondo underground italiano, con interviste video e speciali pubblicate nativamente nelle “stories”, su Instagram Tv e sull’omonimo canale YouTube.

Un giornalismo che prova a reinventarsi, culturalmente ed economicamente

Se da un lato Will ha già aperto un canale podcast su Spotify curato dalla propria “vulcanica” fondatrice, Imen Jane, dall’altro Torcha si distingue per l’estrema varietà delle proprie partnership editoriali. Sull’account del magazine pubblicano, infatti, sia canali da tempo noti nel mondo di Instagram come i “LawPills” (una coppia di avvocati che fanno divulgazione sulle complessità del mondo giuridico e burocratico italiano), sia altri progetti editoriali nativi social come “Factanza”, che per Torcha cura una rubrica ad hoc dedicata alle sintesi delle più importanti notizie del giorno.

A un occhio esperto, non sarà quindi sfuggita la somiglianza tra i progetti editoriali citati e i due grandi precursori dei giornali social degli ultimi anni nel nostro Paese: Sapiens, il “social magazine che racconta i cambiamenti culturali, sociali e identitari” con interviste, ritratti e approfondimenti di grande qualità giornalistica e autoriale, e Freeda, l’ormai ex startup di proprietà di Ag Digital Media, caratterizzata da un taglio editoriale “femminista” e oggi presente in altri Paesi europei. Come Torcha e Will, anche Sapiens e Freeda sono giornali nati inizialmente su un social (nel caso specifico, Facebook) prima di diversificare la propria presenza su altre piattaforme e dotarsi di un sito web proprietario per valorizzare l’ormai imponente archivio di storie e contenuti.

Sarebbe un errore, tuttavia, credere che la creazione di un sito web proprietario sia oggi l’unico modo per assicurare la sopravvivenza economica dei nuovi giornali digitali, lasciando ai social la semplice funzione di “distribuire” i contenuti. Nel momento in cui scrivo, infatti, perfino il New York Times non supera la miseria di qualche milione di abbonati digitali su una platea potenzialmente globale di lettori e nonostante una politica dei prezzi molto aggressiva. Ad oggi, il 54% dei ricavi da abbonamento del giornale dipende ancora dal 14% di abbonati alla versione cartacea, mentre la vendita di copie digitali fuori dagli USA al prezzo di due dollari al mese non sembra sortire il successo sperato (fonte Data Media Hub), così come avviene per i grandi giornali italiani scesi da tempo alla soglia psicologica di un euro al mese per tutti i nuovi abbonati online.

Dal giornale come prodotto al giornale come unità di intenti tra editore e autori di quest’ultimo

È un approccio sbagliato, oggi, creare un giornale da zero su Instagram basando il proprio modello di business sulla vendita di contenuti sponsorizzati alle aziende? Non più di quanto lo sia il tentativo di vendere abbonamenti online al prezzo umiliante (per chi lavora nei giornali stessi) di un euro al mese, e non riuscire comunque a venderne più di qualche migliaia di unità. Il prodotto giornale, in quanto tale, è un prodotto che si vende sempre meno: nelle edicole, come online. I lettori di tutto il mondo esprimono chiaramente la loro preferenza al ribasso per la selezione editoriale algoritmica dei social e motori di ricerca, rispetto alla selezione editoriale operata da un caporedattore “umano” secondo metodi e interessi “politici” mai del tutto trasparenti.

Will, Torcha e gli altri giornali nati su Instagram si basano su un modello di business che può essere definito senza troppi giri di parole “parassitario”: attraverso la vendita di post e “Stories” sponsorizzati dalle aziende, puntano a ottenere una (seppur minima) fetta dei ricavi che queste ultime avrebbero destinato alla promozione delle proprie “stories” e post attraverso gli strumenti pubblicitari a pagamento di Instagram stesso. Eppure, come tutti i parassiti, anche questi giornali dipendono in larga misura dalla reazione del loro organismo ospitante: basta un minimo cambiamento nell’algoritmo di Instagram perché i 300 mila follower di Will non vedano più le “Stories” di quest’ultimo nel proprio “feed” personale (a meno che Will non paghi Instagram per mostrarle a un maggior numero di persone).

Per questo motivo i nuovi giornali nati su Instagram provano a costruire un prodotto editoriale ibrido nei format, negli autori e nelle piattaforme: dai social al sito web, dalle “stories” ai podcast, approfittando del disperato bisogno di contenuti di questi ultimi e rivoluzionando la tradizionale gerarchia delle notizie che ha visto per anni la politica interna sempre ai primi posti nelle “headline” di tutti giornali del mondo. In questo senso, il nome di “Will”, “Torcha”, ma anche quello di “KMagazine” e “Freeda” sembra al mio sguardo più un modo per indicare una forte unità di intenti di editori e giornalisti al passo con i tempi e disposti a mettersi in discussione costantemente, che non un’istituzione stabile nel tempo e nelle forme.

A noi lettori il compito di sostenere i progetti che riteniamo essere più validi tra questi, ad esempio attraverso un abbonamento ai loro podcast e newsletter tematiche (come già avviene da anni su un giornale come “Il Post”). Un sostegno finanziario e continuato nel tempo che consenta di renderli più indipendenti rispetto alle mutevoli condizioni di finanziamento delle aziende, che non sempre sono disposte a sostenere un’informazione di qualità e indipendente dai “desiderata” dei loro uffici marketing interni, e ai mutevoli aggiornamenti dell’algoritmo dei social media. Se non altro, per “sottrarre” a questi ultimi una fetta sempre più grande dei loro ricavi esponenziali e ben lungi dall’essere giustificati (come ci ricorda, tra gli altri, Shoshana Zuboff nel suo ultimo libro).

Aggiornamento del 15 giugno: Imen Jane non ricopre più i suoi incarichi in Will Media, dopo che Dagospia ha rivelato questa mattina come la co-fondatrice di Will avesse in realtà mentito sulla propria laurea in Economia. Una vicenda davvero triste, che probabilmente avrà delle conseguenze sia sulla “carriera” di Jane, sia più in generale sul destino della testata da lei fondata e dei posti di lavoro delle persone impiegate da quest’ultima. Ho ritenuto giusto aggiungere questo aggiornamento, affinché anche coloro che dovessero leggere questo articolo nei giorni seguenti alla sua pubblicazione (da social o motore di ricerca) potessero avere una visione più possibile fedele alla realtà dei fatti. Non ritengo, invece, che la triste vicenda personale di Jane possa smentire quanto scritto: di sicuro, anche per le nuove testate online c’è ancora molto lavoro da fare per conquistarsi una reputazione stabile e durevole nel tempo. Scelte personali, come quella di una co-fondatrice di mentire deliberatamente e ostinatamente sulla propria laurea, non aiutano in tal senso.

Foto di copertina: Alice Siracusano, CEO di Luz (© Isabella De Maddalena / LUZ)

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