Alla vigilia del primo “Fertility Day” italiano una nuova serie di opuscoli diffusi anzitempo in Rete riporta nella bufera il ministero guidato da Beatrice Lorenzin. Ma è possibile dare tutta la colpa a un errore di comunicazione, tanto più nell’era dei social media?
Dopo la riscoperta tardiva dell’orologio biologico, ecco le cattive compagnie da abbandonare. Ovverosia ragazzi e ragazze di colore, coi rasta, di cui uno sembra fumarsi uno spinello, contrapposti a un’immagine comprata su ShutterStock dove due coppie di ragazzi di evidente razza nordica si godono beati una giornata al mare: i primi sono le “cattive compagnie” da abbandonare, i secondi rientrano nelle “buone abitudini” da promuovere per uno stile di vita sano e una maternità o paternità assicurata.
Non trova pace il ministero guidato da Beatrice Lorenzin, giunto alla vigilia del primo Fertility Day della storia repubblicana con ben due campagne di comunicazione miseramente naufragate tra le critiche e gli sberleffi della Rete. In serata, è stata annunciata la revoca del mandato al direttore della comunicazione, capro espiatorio di una iniziativa che Enrico Mentana ha definitivamente seppellito sotto la definizione di “Pubblicità Regresso”.
Eppure sembra davvero difficile credere che un professionista, per quanto improvvisato esso sia, possa commettere grossolani errori di comunicazione, come ricorrere a banche immagini o non notare l’implicito riferimento razzista nel contrapporre persone bianche e di colore.
Ancora più improbabile che un qualunque professionista o agenzia, per quanto sotto stress dopo le polemiche scoppiate in seguito alla prima campagna del Fertility Day, possa aver compiuto lo stesso errore di leggerezza per due volte nel giro di due settimane.
Qualunque responsabile di comunicazione sa che non esiste più alcuna distinzione tra offline e online, e che anche locandine e materiali pensati per essere distribuiti a mano si ritroveranno prima o poi a essere condivisi e giudicati in Rete.. Soprattutto se il proprio datore di lavoro è un’istituzione politica di rilevanza nazionale.
Per questo ritengo che la doppia figuraccia rimediata dal Ministero sia in realtà ascrivibile al contenuto stesso di un’iniziativa che tenta maldestramente di convincere i più giovani a fare figli per non si sa bene quale motivo, anziché limitarsi a informarli e a promuovere iniziative che aiutino le coppie desiderose di avere figli a superare gli ostacoli di natura chimica, economica e sociale alla procreazione.
In tempi di social media, qualunque professionista della comunicazione sa di essere sotto uno sguardo implacabile, e di potersi giocare il posto per molto meno.
Per questo ritengo che i principali responsabili di questa ennesima figuraccia siano gli autori stessi di un’iniziativa come quella del Fertility Day, momento culminante del “Piano Nazionale per la fertilità” in cui si dichiara senza ambiguità alcuna che la fertilità deve tornare a essere percepita quale “bene essenziale non solo della coppia, ma dell’intera società” e che la “parola d’ordine” (sic!) del Fertility Day sarà “scoprire il Prestigio della Maternità”: in casi come questi, nemmeno la più grossolana campagna di comunicazione potrebbe nascondere la superficialità e demenzialità di certi messaggi.