Davide Dattoli, Brunello Cucinelli: il dibattito al Festival dell’Economia

Davide Dattoli di Talent Garden e Brunello Cucinelli a confronto al Festival dell’Economia di Trento nell’ambito dell’incontro “Oasi dell’innovazione” ospitato al Muse. La mia impressione da spettatore.

Due uomini, due imprenditori a confronto, due visioni del futuro del lavoro che in parte combaciano e in parte differiscono profondamente.

Al Festival dell’Economia 2016 di Trento uno dei dibattiti più accesi, e per certi aspetti più appassionanti e sinceramente applauditi, è stato quello tra Brunello Cucinelli e Davide Dattoli, ospitato al Muse sabato 4 giugno. Tema del dibattito: le “oasi dell’innovazione”.

Da un lato, il Talent Garden fondato nel 2012 dal giovanissimo Davide Dattoli: 16 coworking campus aperti 24/7 in quattro Paesi diversi, Talent Garden è il più grande progetto europeo di coworking specializzato nel digitale ed è guidato da una delle menti più brillanti del panorama innovativo italiano.

Uno di quelli, per intenderci, che predica incessantemente la necessità di ripensare radicalmente il nostro rapporto con il mondo del lavoro e della formazione e di adattarci a un mondo che cambia: “Noi italiani siamo bravissimi nel lamentarci di più – ha dichiarato recentemente Dattoli in un’intervista a Linkiesta Sarebbe ora di inserire un’ora di “come costruire una vita che ti piacerà” in tutte le scuole”.

Dall’altro lato, il capitalismo umanistico di Brunello Cucinelli che ha trovato la sua espressione ideale nella sua azienda attiva nel rinascimentale borgo di Solomeo. Brunello Cucinelli, 63 anni, è conosciuto come il “Re del Cachemire”, materiale che – per sua stessa ammissione – è costruito per durare nel tempo, quindi quanto di più diverso possibile esista al continuo mutare di forme e contenuti dell’era digitale.

Cucinelli, la cui azienda quotata in Borsa fattura oltre 400 milioni di dollari ed esporta in tutto il mondo, è stato premiato innumerevoli volte per la qualità del welfare aziendale e la sua filosofia imprenditoriale (che prevede, tra le altre cose, il rispetto assoluto della vita privata dei dipendenti al di fuori dell’orario di lavoro, cospicue divisioni di utili tra dipendenti e la sua fondazione non a scopo di lucro).

Bisogna credere nell’essere umano, nella creatività di un’impresa – è la sua opinione, rilasciata in un’intervista a MillionaireSupponiamo di avere un’azienda di 1.000 persone. Magari ci è stato detto che tra questi ci sono soltanto due o tre persone geniali. Ma io credo che in un’azienda di 1000 persone ci siano 1.000 geni. Si tratta semplicemente di geni di tipo diverso, con un diverso grado di intensità”.

Al centro del dibattito al Festival Dell’Economia, dunque, il futuro del lavoro e dell’occupazione. E se da un lato Dattoli ha più che ragione a sostenere che i lavoratori di domani e di oggi dovranno fare i conti con la crescente robotizzazione e digitalizzazione dei sistemi produttivi, dall’altro Cucinelli non ha torto a ritenere che la manifattura artigianale, fortemente dipendente dal “saper fare” manuale, resta e resterà per molti anni ancora il vero settore trainante dell’economia italiana. E che la componente terziaria e dei servizi avanzati non potrà mai essere, in ogni caso, un’opzione lavorativa per la maggioranza delle persone.

Ragion per cui bisogna riconoscere a tutti i lavoratori – anche a quelli meno qualificati e meno digitalmente evoluti – il diritto alla piena occupazione e a una partecipazione attiva, responsabile e dignitosa, alla vita dell’azienda. Parole e dichiarazioni di qualche sindacalista del secolo scorso, verrebbe da pensare, se non fosse che a dirle è uno degli uomini più ricchi d’Italia e del mondo.

Se Dattoli ha dalla sua i dati che fotografano in maniera implacabile la distruzione di posti di lavoro operata dalle nuove tecnologie e la creazione di un’economia dove i confini tra vita privata e professionale sono sempre meno definiti e la componente tecnica e le skills digitali rivestono un ruolo cruciale nella competizione globale tra i talenti, Cucinelli conserva intatta un’incrollabile fede nella diversità italiana e nel ruolo storico di guida e di esempio di eccellenza che il nostro Paese ha ereditato dall’antichità classica e dal Rinascimento. Una visione se vogliamo “umanistica” del lavoro, per la quale il significato ultimo dell’attività lavorativa rimane solo uno degli aspetti della realizzazione dell’uomo, cruciale ma non il più importante.

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Da un lato, dunque, un campione digitale che predica con ragionevolezza la necessità di adeguamento del nostro Paese agli standard produttivi e tecnologici del resto del mondo evoluto, pena il venir meno di qualsiasi speranza di uscita dalla crisi ormai decennale della nostra economia e l’assorbimento della disoccupazione giovanile. Una visione d’insieme lucida e spietata, che non può non dividere il pubblico e lasciare perplessi quanti sono direttamente coinvolti dalla perdita del posto di lavoro o si trovano in aree prive di un sostrato imprenditoriale e culturale di appoggio.

Dall’altro un innovatore forse troppo anziano per l’età media degli startupper nostrani che, uscito da una condizione giovanile di relativa povertà famigliare, ha saputo portare avanti nel tempo un’idea di impresa apparentemente insostenibile, basata sulla ricerca assoluta dei materiali più pregiati e sull’equo scambio tra management e dipendenti, tra creazione di valore e redistribuzione degli utili tra dipendenti e territorio.

Parole che nella maggior parte dei casi risuonano vuote se pronunciate da tanti imprenditori  e manager nostrani, ma che dette dalla viva voce di un Cucinelli appaiono come un segno che una via dell’innovazione italiana è non solo possibile, ma pure auspicabile se teniamo conto dell’asfittico mercato di capitali di ventura nostrani, e della decennale condizione d’inferiorità in cui l’industria tecnologica italiana è rimasta dopo i gloriosi anni olivettiani. “Ai giovani di oggi dico che bisogna avere coraggio – ha dichiarato Cucinelli durante il dibattito – Ci sono tantissimi segnali che ci dicono che il secolo che sta arrivando potrebbe essere il secolo d’oro dell’Italia”.

Secondo voi, chi ha ragione dei due?

Jacopo Franchi

jacopo franchi

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Jacopo Franchi

Mi chiamo Jacopo Franchi, sono nato nel 1987, vivo a Milano, lavoro come social media manager, sono autore del sito che state visitando in questo momento e di tre libri sui social media, la moderazione di contenuti online e gli oggetti digitali.

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