Il titolo, volutamente provocatorio, ai diretti interessati ricorderà sicuramente La Repubblica degli Stagisti, il progetto di Eleonora Voltolina che per prima ha sollevato in Italia il dibattito sugli stage gratuiti, battendosi per la loro regolamentazione a norma di legge e un adeguato “rimborso spese” per tutti gli stagisti sfruttati.
Senza nulla togliere al lavoro e alla dedizione di Eleonora, credo che il vero obiettivo dei giovani d’oggi non sia di conquistare il diritto a uno stage retribuito e in regola, bensì mettere gli stage fuori legge, alla stregua dello schiavismo e del lavoro in nero. Mi spiego meglio, sperando che questa mia riflessione serva a far riflettere qualcuno e a far incazzare tutti quelli che, usciti dalla scuola, si sono resi conto di non avere in realtà imparato nulla. Nemmeno come non farsi sfruttare.
Perché gli stage non danno lavoro
A cosa servono gli stage? A imparare un mestiere. Chi dovrebbe insegnare questo mestiere? I dipendenti delle aziende. Che formazione possono dare questi ultimi, i quali già a fatica devono finire in tempo il proprio lavoro e, se sono in gamba, studiano per rimanere sempre aggiornati? Dipende dall’interesse che ne possono ricavare. Gli stagisti a cosa servono, in fondo? A fare il lavoro pratico, quello più necessario, che le macchine non sono ancora riuscite a cancellare. Ma allora, quanto tempo ci vuole per imparare i fondamenti di un mestiere? Poche settimane, per diventare operativi, e tutta la vita, per non perdere il contatto con il progresso. E allora perché gli stage durano mesi, spesso senza sfociare in un contratto di lavoro? Perché lo scopo non è quello di insegnare qualcosa o formare delle risorse, ma di svolgere un compito tanto importante quanto ormai, per via del predominio assunto dagli stagisti tra quelli che un tempo percepivano uno stipendio per fare quello stesso lavoro, del tutto svalutato.
Gli stage servono a coprire le mancanze del sistema scolastico, facendone ricadere i costi sulle famiglie e sulle aziende
La diffusione esponenziale degli stage, approvata e incentivata dallo Stato e presente ormai in tutte le aziende, anche in quelle più piccole, ha arrecato ai lavoratori più danni della concorrenza con quelli dei Paesi emergenti. La competizione con un esercito di giovani laboriosi, sottomessi e disposti a non guadagnare nulla dal proprio lavoro è più letale della minaccia portata dalle macchine nei confronti di tutti i mestieri, tradizionali e innovativi. Di fronte allo stagista, che può svolgere qualunque mansione pratica senza costare nulla all’azienda, il lavoratore che vuole portare a casa uno stipendio dignitoso può solo progredire nelle sue conoscenze e lavorare sempre di più, spinto dal bisogno indotto di ‘giustificare’ il proprio posto di fronte ai datori di lavoro. Arriveremo al punto in cui nelle aziende ci saranno più stagisti che lavoratori veri? Che a essere assunti saranno solo i più ‘stronzi’, quelli incaricati di controllare e gestire tutti gli altri? In certe aziende questo traguardo lo hanno superato già da un pezzo, grazie a uno Stato che ha abdicato al suo dovere di educare i cittadini e farne degli individui consapevoli.
Gli imprenditori hanno il ‘diritto’ di sfruttare gli stagisti
Perché, dopo vent’anni di formazione (dalle elementari all’università) un individuo non è in grado di lavorare senza passare dallo stage? Perché esistono evidenti lacune nei programmi d’istruzione. Chi ha reso tutto questo legale? I governi della Seconda Repubblica, incapaci sia di riformare la pubblica istruzione, sia di trovare le risorse necessarie al suo rinnovamento. I datori di lavoro sono degli sfruttatori? A ragion di logica no, perché agiscono ora nella piena legalità, ed è perlomeno prevedibile che, in un’economia depressa dove il costo del lavoro è tra i più alti dell’Unione Europea, un imprenditore cerchi di risparmiare pagando i lavoratori meno insostituibili peggio che in una fabbrica cinese.
Di chi è la colpa, allora? Di governi che, passandosi il testimone, hanno in pochi anni legalizzato un sistema di sfruttamento trovando un alleato formidabile nell’inerzia, remissività e masochismo dei giovani italiani, e nei risparmi accumulati dalle loro famiglie. In questo senso, sono proprio quei giovani che possono permettersi di lavorare gratis fino a trent’anni, grazie al sostegno economico delle loro famiglie, che rendono vano ogni tentativo dei loro coetanei più “poveri”, o semplicemente meno coglioni, di far valere il proprio diritto a un lavoro vero. Nella monarchia degli stagisti, solo i figli di papà hanno diritto di cittadinanza.
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