Secondo l’articolo 21 del regolamento europeo sui servizi digitali (Digital Services Act) gli utenti dei social media hanno il diritto di rivolgersi a organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie in merito alle decisioni di moderazione dei contenuti online, ma è solo nelle ultime settimane che questo diritto ha cominciato a diventare realtà con la nascita dei primi enti specializzati in grado di intervenire su tutto il territorio dell’Unione Europea.
Tali organismi, infatti, devono passare attraverso un complesso processo di certificazione da parte delle autorità nazionali (i cosiddetti “Coordinatori dei servizi digitali”), dimostrando la propria competenza, imparzialità e indipendenza finanziaria. Non sorprende, quindi, che essi non siano ancora presenti né in Italia, né in molti altri Paesi europei dopo mesi dall’entrata in vigore del DSA, e che uno dei primi a vedere la luce abbia cominciato a operare in Irlanda a partire da novembre 2024 con il nome di “Appeals Centre Europe”.
Uno dei primi organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie riguardanti i social media, accessibile anche agli utenti italiani
L’Appeals Centre Europe consente a tutti i cittadini europei di fare appello contro le decisioni di moderazione di tre grandi piattaforme digitali: Facebook, TikTok e YouTube. Coloro che hanno subito la rimozione di un contenuto sul proprio profilo social e coloro che, al contrario, hanno inviato senza successo una segnalazione per la rimozione di contenuti illegali o non ammessi dalle policy possono, quindi, rivolgersi agli esperti dell’Appeals Centre Europe per far valere le proprie ragioni. Il servizio di mediazione ha un costo di cinque euro a carico dell’utente (con la promessa di restituire i soldi in caso di successo) e riguarda solo i contenuti pubblicati in maniera gratuita sui tre social menzionati, mentre sono escluse le segnalazioni sui profili rimossi o sospesi e sui contenuti promossi tramite campagne a pagamento. Nel momento in cui scrivo il costo di servizio è stato temporaneamente azzerato.
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Come funziona, nel concreto, un organismo di mediazione extragiudiziale per le decisioni di moderazione dei social media? Per gli utenti il procedimento è semplice, ma non immediato: è necessario registrarsi al sito di Appeals Centre Europe fornendo il proprio nome e cognome, la propria mail e numero di telefono prima di poter richiedere l’apertura di una “procedura di controversia” (come viene chiamata sul sito). Per ogni controversia è necessario indicare con esattezza il social su cui è stato riscontrato il problema, il contenuto che si intende contestare, il numero di riferimento della propria segnalazione (se la controversia riguarda un contenuto di Facebook), la decisione presa dalla piattaforma e i motivi della contestazione di quest’ultima. È possibile avviare una procedura di controversia entro sei mesi dalla decisione dei social, e le risposte del Centre possono richiedere fino a 90 giorni di tempo (anche se la maggior parte delle risposte dovrebbe essere gestita nell’arco di pochi giorni o addirittura ore).
Le indicazioni dell’Appeals Centre Europe non sono vincolanti per i social, ma le autorità verranno informate in merito a rifiuti “ingiustificati”
L’Unione Europea è riuscita quindi nell’intento di restituire ai suoi cittadini un minimo di tutele nei confronti delle decisioni di moderazione delle grandi piattaforme digitali? Basta davvero inviare una richiesta su un sito esterno a Facebook, YouTube o TikTok e pagare cinque euro per poter ricevere ascolto? In realtà, le decisioni di organismi come l’Appeals Centre Europe non sono affatto vincolanti: le piattaforme digitali possono semplicemente ignorarle, così come hanno ignorato le richieste di revisione degli utenti. L’Appeals Centre Europe, tuttavia, gode di ulteriori possibilità per far sentire la propria voce e quella degli utenti che si rivolgono a esso: ogni organismo di risoluzione extragiudiziale può infatti segnalare alle autorità una scarsa o nulla collaborazione da parte delle piattaforme digitali, con la prospettiva di incentivare maggiori controlli e pressioni normative su queste ultime in futuro.
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Contrariamente a quanto riportato in molti articoli che hanno dato la notizia dell’apertura dell’Appeals Centre Europe, le lingue in cui è possibile aprire una procedura di controversia sono solo sei al momento (tra cui l’italiano) ma le richieste possono riguardare contenuti pubblicati in qualsiasi lingua parlata nell’Unione Europea. Cittadini italiani, tedeschi, olandesi e di altri Paesi dell’Unione possono quindi utilizzare l’organismo di risoluzione extragiudiziale a prescindere dal proprio Paese d’origine, e possono farlo su un numero apparentemente sterminato di casistiche: bullismo, incitamento all’odio, molestie, disinformazione, video e immagini alterate dall’intelligenza artificiale, contenuti di informazione rimossi senza apparente motivo, eccetera. Ad oggi, l’organismo irlandese dispone di soli venti professionisti ma gli obiettivi per il futuro sono di espandere ulteriormente il team e le capacità di intervento, come riportato dalla giornalista Michela Rovella in un bel reportage pubblicato su Login.
“Contrariamente a quanto riportato da molti articoli, l’Appeals Centre Europe può gestire le controversie sui contenuti pubblicati in tutte le principali lingue dell’Unione Europea. Sono solo sei, invece, le lingue con cui è possibile inviare e motivare la propria segnalazione“
Il problema del finanziamento: chi “pagherà” se le controversie non copriranno le spese?
Al di là della scarsissima conoscenza che l’utente medio dei social ha dei regolamenti europei e dell’esistenza di organismi di questo tipo, al di là della minima visibilità che l’Appeals Centre Europe possiede sugli stessi social su cui dovrebbe operare (21 iscritti su YouTube, 6 follower su TikTok, nessuna presenza su Facebook), bisogna sottolineare come la sopravvivenza di questi organismi sia tutto fuorché garantita dalla legge o dal sostegno da parte delle istituzioni pubbliche. Appeals Centre Europe ha cominciato le sue attività nel 2024 solo grazie a un finanziamento di 15 milioni di dollari da parte dell’Oversight Board Trust, lo stesso che finanzia l’Oversight Board di Facebook, e la prospettiva è quella di ricavare le risorse per il proprio sostentamento dai soldi pagati dagli utenti per controversie non andate a buon fine e dai 90 euro versati dai social per ogni procedimento aperto contro di essi. Poche controversie aperte significano, quindi, poche possibilità di sopravvivenza nel lungo periodo per organismi che rivestono un ruolo determinante nella concreta applicabilità del DSA.
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Le contraddizioni non finiscono certo qui, come il fatto che i dirigenti dell’Appeals Centre Europe – a cominciare dal direttore, Thomas Hugues – provengano proprio da quell’Oversight Board creato pochi anni orsono da Meta con il compito di ricevere gli appelli degli utenti insoddisfatti delle decisioni dei suoi stessi moderatori. Viene spontaneo, quindi, sospettare qualche forma di legame più o meno diretto tra l’organismo di risoluzione extragiudiziale e i social di cui dovrebbe valutare e contestare le decisioni, anche se lo stesso Hugues ha più volte ribadito l’indipendenza propria e dell’intero team e la natura “una tantum” del finanziamento ricevuto dal Trust dell’Oversight Board di Meta. Professionisti e manager con esperienza nel settore della moderazione di contenuti, d’altronde, non sono numerosi, ed è abbastanza prevedibile che la maggioranza di questi ultimi proverrà – almeno nel breve periodo – dalle grandi aziende digitali anche nel caso in cui dovesse ricoprire incarichi sul fronte “opposto”.
Resta, in conclusione, il dato di fatto di un cambiamento importante sul fronte dell’enorme tema del bilanciamento dei poteri tra piattaforme digitali e utenti, a cominciare dai processi di moderazione che hanno un impatto enorme sul diritto alla cittadinanza digitale, alla libertà di espressione, al pluralismo dell’informazione ma anche al benessere e sicurezza psicologica e fisica delle persone. Un cambiamento che, tuttavia, procede con tempi e modalità molto incerti rispetto all’urgenza delle vittime di decisioni di moderazione errate, inique o tardive. L’esperienza dell’Appeals Centre Europe sarà preziosa, in questo senso, in vista della creazione di analoghi organismi di risoluzione extragiudiziale in Paesi come il nostro, dove i fornitori di servizi digitali hanno prestato finora pochissimo ascolto alle richieste prevenienti da giornalisti, attivisti, studiosi e politici, grazie a una posizione di forza fondata sull’opacità dei meccanismi di controllo dei contenuti e la scarsissima conoscenza dei nuovi e vecchi regolamenti europei. Il cammino da fare è ancora molto lungo e nessun passo va dato per scontato.